Finanza e Risparmio

Ungheria, dietro la linea dura, la necessità Ue di non rompere

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di Attilio Geroni

L’Ungheria è un piccolo Paese che negli ultimi anni è stato capace di creare grandi problemi all’Unione europea. La deriva creata dal premier Viktor Orbán sul rispetto dello stato di diritto ha raggiunto un punto tale che secondo l’Europarlamento quella ungherese non può più essere considerata una piena democrazia. È invece diventata, secondo la risoluzione approvata nei giorni scorsi con 433 voti favorevoli e 123 contrari (tra questi ultimi i rappresentanti di Lega e Fratelli d’Italia) “un’autocrazia elettorale”.

L’iniziativa testimonia quanto si sia degradato il rapporto con le istituzioni europee e quanto la corda tesa delle provocazioni di Orbán possa a un certo punto spezzarsi con ricadute pesantemente negative per l’economia ungherese. La Commissione Ue ha proposto nei giorni scorsi al Consiglio di congelare 7,5 miliardi di risorse finanziarie europee che fanno parte di tre programmi di coesione. Il parere si basa sul nuovo meccanismo di condizionalità introdotto per l’erogazione di risorse comunitarie dopo che la Corte di Giustizia Europea ha respinto un ricorso intentato da Polonia e Ungheria proprio contro questo sistema.

Procedure opache, meccanismi inefficaci di controllo degli appalti pubblici, episodi ripetuti di corruzione sono stati rilevati in molti casi nella gestione dei finanziamenti Ue in Ungheria e come tali possono mettere in pericolo la stabilità del bilancio europeo. Questo però non è l’unico fronte poiché per ragioni simili finora non è stata approvata l’erogazione dei fondi al Pnrr ungherese, una cifra simile (7,2 miliardi) a quella dei fondi di coesione per ora bloccati.

Come sempre Bruxelles, nonostante la pressione, cercherà di arrivare a un compromesso per evitare che si giunga a un punto di non ritorno. Politico.eu fa notare, ad esempio, che tra le risorse che la Commissione propone di bloccare non ci sono i fondi all’agricoltura, che per l’Ungheria sono di vitale importanza. Probabilmente la Ue vuole evitare accuse da parte di Budapest sulla messa in pericolo delle sicurezza alimentare in un momento di crisi globale degli approvvigionamenti di materie prime agricole.

Non c’è molto tempo per – eventualmente – sbloccare i 7,5 miliardi di fondi di coesione: il Consiglio ha un mese per disporre e la decisione potrà essere presa a maggioranza qualificata e non più all’unanimità; a sua volta il governo ungherese ha un mese per rispondere. In realtà Budapest ha già preparato una lista di 17 “rimedi” per migliorare le procedure di assegnazione di monitoraggio degli appalti con risorse comunitarie, a cominciare dalla creazione di un’Agenzia indipendente anti-corruzione. Il problema, sostengono fonti comunitarie, è sempre nell’effettiva applicazione delle misure correttive da parte delle autorità ungheresi. Su questo aspetto, lo scetticismo è grande, ma altrettanto grande è la volontà di non tenere un fronte aperto in un momento così delicato, dove l’aumento dei prezzi e la crisi energetica rischiano di innescare una recessione in molti Paesi dell’Unione europea.

La situazione dell’Ungheria è ancora più complicata poiché il Paese è quantomeno ambiguo sulle sanzioni alla Russia e ha rinsaldato i legami energetici con Mosca, mentre il resto dei Paesi europei sta rapidamente, ma anche faticosamente, riducendo la dipendenza dal petrolio e dal gas del regime di Vladimir Putin. Il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha già messo le mani avanti dicendosi contrario alla discussione di un nuovo round di sanzioni – sarebbe l’ottavo – da parte della Ue contro la Russia, poiché nuove ritorsioni europee inasprirebbero secondo lui la crisi energetica. Non è dunque un grande modello quello della “democrazia illiberale” (definizione di Orbán) ora degradata ad “autocrazia elettorale” (definizione dell’Europarlamento) in perenne conflitto istituzionale con l’Unione e a rischio cadere nella trappola delle sfere d’influenza vecchio stile.