Inchieste

Alberoni: «Lavoro agile, ponte per la rivoluzione AI»

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di Gabriele Politi

La pandemia da Covid-19 ha costretto persone e aziende ad accelerare in emergenza sulla digitalizzazione, cambiando in modo del tutto nuovo e inatteso molte abitudini professionali, considerate fino a quel momento immodificabili. A distanza di tre anni il lavoro agile, lo smart working, secondo lei ha prodotto lavoratori più felici?

Non so se abbia prodotto lavoratori più felici, certamente influenza in qualche modo la nuova organizzazione del lavoro: non perché tutti facciano lo smart working ma perché esiste una parte che lo fa, alleviando così il fenomeno del pendolarismo. E ha introdotto un’altra mentalità che adesso sarà importante per fronteggiare la seconda trasformazione alle porte: la prima è quella avvenuta grazie ad internet, ora sta per arrivare quella dell’intelligenza artificiale, e penso sarà utile avere una redistribuzione dei lavoratori sul territorio.

Lirruzione sulla scena dellAI è infatti un altro elemento destinato a modificare radicalmente il futuro del mercato del lavoro. Molte sono le riflessioni, molte le opportunità che si intuiscono così come i dubbi. Il lavoro agile” può essere visto come unopportunità per salvare alcune figure professionali?

Lo spero, perché c’è stata prima una diffusione dei posti di lavoro e poi di nuovo una concentrazione. Credo che l’Intelligenza artificiale possa offrire una nuova forma di elasticità al lavoro.

Durante il lockdown il lavoro da remoto è stato salutato come una rivoluzione da cui non si sarebbe più tornati indietro. Adesso molte aziende provano a limitarne lestensione, se non a sospenderlo definitivamente, per ritornare al tutti in presenza”. Chi sembra non voler tornare più indietro sono i lavoratori delle nuove generazioni, che hanno inserito la possibilità di lavorare da casa alcuni giorni la settimana come elemento dirimente per decidere se continuare quel lavoro o cercarne uno nuovo. Lo smart working è stato lo strumento per dare forma a un cambiamento già in atto oppure il vero, primo artefice di questo cambiamento?

Lo smart working è un prodotto della grande ondata di Internet, dal 2000 in poi, in cui si è determinata la vera trasformazione delle relazioni umane sulla terra, in particolare sul mondo del lavoro con la possibilità di decentrare compiti e attività che prima erano accentrati. In realtà, penso che ci sia bisogno di ancora più elasticità sul lavoro; oggi resiste una sottile forma di ripugnanza rispetto all’idea di una molteplice occupazione. Se posso, perché non fare un secondo lavoro, o addirittura un terzo? Ecco, con lo smart working il lavoratore diventa protagonista di sé stesso e ci dovrebbe essere maggiore libertà. In definitiva è uno strumento che può essere usato, in misura più o meno ampia, non per “evitare di andare a lavorare” ma all’opposto per svolgere diversi lavori, anche in contemporanea, senza angosce e senza il timore di venir licenziato perché si fa anche un altro lavoro oltre a quello ritenuto “principale”.

Il Coronavirus e lo smart working hanno modificato le abitudini di lavoro sia in ufficio sia in casa propria. Com’è cambiata, e sta cambiando, la relazione con gli spazi pubblici e privati?

La casa e la famiglia erano andati molto in crisi; lo smart working ha restituito un minimo di spazio alla vita domestica e tende a trasformare il dipendente in un professionista che può stare a casa, sul lavoro o in giro su un treno. D’altra parte, se si pensa alle grandi multinazionali di consulenza, come ad esempio Boston Consulting Group o McKinsey, si vede come i loro dipendenti siano sempre in giro, oggi sono a Riad, domani da un’altra parte del mondo, quindi è logico che ci debba essere lo smart working. Poi c’è una certa riscoperta della casa, con il verde, il giardino, magari un mini-orto con i pomodori, piccole cose di una vita antica che continuano ad esserci. Un altro tema è quello della ripresa della natalità: anche lì ho l’impressione che cambieranno delle cose e lo smart working avrà la sua importanza, sia per la donna sia per l’uomo, poiché significa avere la possibilità di stare a casa per occuparsi dei propri figli lavorando da lì.

Quale futuro intravede alla luce di questi cambiamenti?

Mi sembra che si stia uscendo un po’ dalla palude della mondializzazione, in cui sembrava che tutto andasse bene. Adesso siamo più realisti, ma è anche vero che siamo alle soglie di una seconda evoluzione e sono sicuro che i giovani la cavalcheranno bene perché fortunatamente il sistema non ha strozzato tutte le loro possibilità. Comunque noi italiani ce la stiamo cavando tutto sommato abbastanza bene, grazie alla qualità della nostra cultura, al netto della minoranza di incapaci che c’è anche qui come in ogni società.

LUe è la prima istituzione a varare un quadro normativo che regolerà giuridicamente ed eticamente luso dellAI: secondo lei è più il rischio che se ne limitino le potenzialità di quanto non se ne difendano le opportunità?

Penso che una normazione dell’Intelligenza artificiale sia comunque necessaria ma non sono convinto che la sede migliore sia quella europea perché vi sono molti antagonismi, anche forti, e c’è una frattura tra Europa dell’Ovest ed Europa dell’Est, anche a causa del fatto che ci sia una guerra di mezzo. Mi auguro che l’Europa intervenga ma con vere e reali consultazioni a livello locale.