Inchieste

Formazione tallone d’Achille: i giovani preferiscono emigrare

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di Laura Siviero

Alla ripartenza della stagione turistica estiva, prevista in grande spolvero, l’offerta dei servizi rischia di presentarsi claudicante, per una carenza di personale che, secondo le stime di Assoturismo Confesercenti, si attesta su 50mila unità nei prossimi week end tra pasqua e primo maggio. A questi potrebbero aggiungersi altri 200mila addetti mancanti dell’indotto che coinvolge settori come la ristorazione, le strutture aeroportuali e i servizi turistici in generale.

Secondo i dati Eurostat, l’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di imprese nel settore del turismo, con 383.000 aziende (a fine 2021) e oltre 1,6 milioni di occupati nelle attività ricettive. Circa il 18% del totale delle imprese italiane e incide per il 3,7% sull’economia reale del nostro Paese.

Germania, Italia e Spagna raggruppano quasi la metà (48%) di tutte aziende che operano nel settore turistico censite in Europa, con un totale di 2,6 milioni di addetti. Ma è l’Italia che risulta essere la più deficitaria in termini di personale specializzato o qualificato.

Una situazione che, secondo gli analisti, rischia di arrecare un danno in termini di perdita media di fatturato, nel periodo estivo, pari al -5,3%.

I datori di lavoro lamentano scarsa disponibilità e chi il lavoro lo cerca lamenta salari troppo bassi. Una situazione che da alcuni anni si ripete in modo sistematico. «Oltre a un calo demografico in continua ascesa negli ultimi dieci anni – dichiara Paolo Zabeo, della Cgia Mestre – che vede sempre meno giovani entrare nel mercato del lavoro, si sono aggiunte, dopo gli anni del Covid, anche nuove aspettative lavorative e di vita che hanno allontanato molti ragazzi da altrettanti settori economici». I giovani, attratti da stipendi più alti, si spostano all’estero, per restare nel campo della ristorazione e dell’ospitalità.

Sono tre i settori in cui è maggiore la carenza di personale, dal front-office all’houskeeping e al food & beverage, sia di personale operativo che di capi servizio, a cui si aggiungono specifiche figure come il personale di cucina, cuochi, chef, camerieri di sala, barman, maître.

Le grandi trasformazioni del settore turistico richiedono alle imprese nuove competenze e nuovi ruoli, soprattutto nell’area delle tecnologie digitali e delle soft skills. Esiste oggi un forte gap tra competenze ricercate dalle imprese e competenze disponibili nel mercato del lavoro. «Oltre i due terzi della forza lavoro già occupata nel turismo avrà necessità di riqualificarsi nei prossimi anni – si legge nella ricerca dello Iulm sul “Fabbisogno di nuove competenze e ruolo strategico della formazione per lo sviluppo del turismo” (2019) – Ed emerge una forte esigenza di investire nella formazione di capi servizio, figure chiave dell’organizzazione, con skill manageriali». L’altro tema caldo della didattica riguarda l’approccio. L’analisi sottolinea la necessità di innovazione nei metodi didattici, con formule compatibili con i ritmi di lavoro intensi dell’hotel e con un approccio fortemente legato alla pratica e al trasferimento di soluzioni per la gestione, cruciale per motivare i collaboratori a investire tempo ed energie nella formazione.

Gli istituti alberghieri offrono una buona preparazione teorica, ma sono deficitari nel saper fare, come le università italiane, che restano indietro rispetto alle omologhe europee. Per prepararsi e trovare lavoro, molti migrano verso gli atenei svizzeri e olandesi. A parte Iulm e Bocconi, che si sono attrezzate con master specifici, organizzati come delle hotel-school, in cui la parte pratica è molto consistente rispetto alla parte teorica, il resto del panorama resta indietro. Bene i progetti delle Fondazioni ITS sul turismo dove l’offerta dedica almeno il 25% alla pratica in azienda, ma sono Istituti che stentano a crescere nei numeri.

E dall’ultima edizione di “Fare Turismo”, appuntamento nazionale dedicato all’orientamento alla formazione e al lavoro nel settore, parte un manifesto con dieci proposte al governo per migliorare le politiche turistiche: dall’istituzione di un comitato ministeriale per l’offerta formativa nel turismo, alla certificazione delle competenze degli studenti, ma anche degli insegnanti, attraverso una maggiore co-progettazione tra le scuole alberghiere e gli operatori del settore e una maggiore spendibilità delle lauree in Turismo, da inserire nei bandi pubblici. Poi misure di contribuzione per le aziende che intendono continuare l’attività in bassa stagione e confermare la forza lavoro al termine dei sei mesi, con dei contratti stabili.

Ma non si dimentichi che la frontiera, anche nel turismo, è il digital, dove si profila un’irruzione dell’Intelligenza Artificiale che, secondo una ricerca di McKinsey, fornirà soluzioni professionali innovative (e probabilmente vincenti) per intercettare nuova clientela e fare business e potrebbe automatizzare il 73% delle ore impiegate nell’ospitalità, dai robot concierge al customer care. Riuscirà il settore della formazione a stare al passo?