Inchieste

Guerra, crisi e inflazione cambiano le rotte dell’export

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di Attilio Geroni

La Cina rallenta, e di molto per gli standard di crescita ai quali ci aveva abituato. La Russia è persa e chissà se mai potrà essere ritrovata. Il mercato unico europeo è zavorrato dall’inflazione elevata e da una politica monetaria restrittiva che comincia a incidere negativamente (si veda la Germania nel primo trimestre) sulla domanda interna.

Non è un momento facile per le esportazioni poiché le grandi rotte si sono ristrette nel corso degli ultimi tre-quattro anni a causa di shock molteplici – pandemia, impennata dei prezzi energetici e invasione russa dell’Ucraina – e con esse anche le catene globali delle forniture. Il made in Italy si era difeso piuttosto bene finora, ma quando intorno tutto comincia a rallentare e quando il primo partner economico, la Germania, entra in recessione tecnica, i contraccolpi cominciano a sentirsi.

In aprile le esportazioni del nostro Paese hanno registrato per la prima volta una flessione del 5,4 per cento. Non è venuta meno tanto la capacità di penetrazione delle aziende italiane all’estero quanto la capacità di assorbimento dei mercati internazionali. Il ciclo di strette monetarie per contenere l’inflazione non coinvolge soltanto l’area euro, ma anche il Regno Unito, la Svizzera gli Stati Uniti e altri. Dove e come potrà compensare la frenata globale il nostro export, che prima di aprile cresceva ininterrottamente da due anni al ritmo mensile di 47,5 miliardi, nove in più rispetto al corrispondente periodo pre-Covid?

L’ultimo  può fornire qualche indicazione utile, ma non esaustiva, sulle tendenze delle economie mondiali, tutte o quasi in sensibile rallentamento. Questo è il prerequisito fondamentale per impostare una campagna di vendite all’estero cercando di evitare i mercati ad elevata sensibilità geopolitica o quantomeno ridurre rischi ed esposizioni nei loro confronti.

In termini di crescita attesa per quest’anno spiccano soprattutto l’India (5,9%), l’Indonesia (5%) e il Vietnam. Ancora una volta è l’Asia, in particolare il Sud-Est, ad avere le dinamiche macro più favorevoli alle esportazioni italiane. L’India è stata non a caso uno dei primi Paesi visitati dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che in marzo ha incontrato a New Delhi il premier Narendra Modi.

È un mercato di grandissime potenzialità, ma ancora relativamente chiuso agli investimenti stranieri. Leader nei servizi, ma con infrastrutture e una base manifatturiera ancora tutte da sviluppare e un’agricoltura che rappresenta il 15% del Prodotto interno lordo. È dunque il mercato ideale per la fornitura di macchine utensili, tra le altre cose. Inoltre in ambito bilaterale i governi dei due Paesi avevano identificato nel 2020 i cinque settori chiave nel Piano d’Azione che va fino al 2024: green economy, industria dell’agroalimentare, infrastrutture, digitale e manifatturiero.

L’anno scorso l’export italiano verso questo Paese ha registrato un aumento a doppia cifra, del 24 per cento, a 4,8 miliardi di euro. Il trend positivo si è confermato anche nel 2023, con un aumento delle vendite dell’11 per cento nel primo trimestre. L’India presenta una relativa stabilità politica, come abbiamo detto buone prospettive di crescita e un mercato immenso, la necessità di sviluppare e potenziale la propria base manifatturiera, ma d’altro canto presenta alcune criticità come un sistema bancario piuttosto fragile, un reddito procapite ancora relativamente basso e una burocrazia spesso complessa e inefficiente.

Anche il Vietnam può giocare, e in parte già lo fa da tempo, un ruolo positivo nello sviluppo dell’export e degli investimenti italiani. È un grande mercato (90 milioni di persone) e specializzazioni manifatturiere che vanno dal tessile abbigliamento all’elettronica nonché una relativa stabilità politica. In molti casi è stato indicato all’indomani della pandemia e delle strozzature nella catena globale delle forniture come parziale sostituto dell’outsourcing in Cina. Dispone di una manodopera altamente qualificata. L’anno scorso l’export italiano è cresciuto del 15 per cento a 1,4 miliardi. I settori chiave per le nostre vendite sono rappresentati da macchinari e apparecchiature in genere, prodotti farmaceutici, alimentare e mobili.