Inchieste

Ecologia a colpi di decreto

Scritto il

di Alessandro Paciello

Francesco Bertolini è Docente alla SDA Bocconi di Milano e Presidente di “Brands4sustainability” e del “Green Management Institute”. È inoltre editorialista di alcuni tra i più importanti quotidiani italiani. Infine dirige l’Area economia circolare e conversione ecologica di Aida Partners.

È una voce critica all’interno dell’ormai monocorde mondo della cosiddetta Green Economy, uniformemente schierato alla ricerca di un’altrettanto cosiddetta “transizione ecologica” che, ad oggi, ha portato più danni al mondo che reali benefici. Non a caso, preferisce anche evitare il termine “transizione” per utilizzare il più appropriato “conversione”.

Professor Bertolini, cosa intende per “conversione ecologica”?

Intendo un cambiamento che deve essere innanzitutto di tipo profondamente culturale e delle coscienze degli esseri umani. Non si può procedere per decreti, imposti a gente ignara e non ancora sensibilizzata. Si ottiene, presto o tardi, l’effetto contrario. E non mi stupirebbe se tutto ciò fosse voluto.

Cioè, Professore, secondo lei le istituzioni che guidano il mondo non hanno poi sinceramente l’obiettivo di cambiare le cose per proteggere lambiente?

Con i problemi della devastazione ambientale ci si confronta da almeno mezzo secolo, con tanto di denunce e manifestazioni ecologiste in tutto il mondo, ma solo da pochi anni questi sono approdati sui tavoli istituzionali che li hanno catalogati alla voce “emergenze”. C’è da chiedersi dove fossero questi politici che oggi cianciano di “emergenza climatica” da affrontare con urgenza quando queste tendenze si manifestavano e si annunciavano decenni or sono. O si aspettava il business economico che improvvisamente è stato costruito intorno all’emergenza per portarlo alla ribalta dei dibattiti politici? Sorge così il dubbio dell’interesse: comportamenti tattici, dettati da emergenze di cui colpevolmente ci si accorge in ritardo, finalizzati, in fondo, a non cambiare proprio niente, finché gli interessi dei grandi potentati economici non cambieranno veramente e in una logica di lungo periodo che non è nelle corde dei fondi finanziari che guardano sempre al breve e alla speculazione.

Con questo vuol dire che siamo passati dall’indifferenza istituzionale rispetto all’argomento a un’interessata e forse eccessiva preoccupazione, trasformata in emergenza nazionale e sovranazionale?

La verità infatti “sta nel mezzo”. Siamo passati da ministri dell’Ambiente senza nessun potere e, soprattutto, nessun portafoglio, al ministero della Transizione Ecologica, che mette becco su tutto e oggi, con il nuovo Governo, al ministero della Transizione Energetica, altra improvvisa emergenza per la manipolata comunicazione, in realtà prevista da decenni, con la quale dobbiamo fare drammaticamente i conti. Questo continuo risvegliarsi di fronte alle emergenze annunciate e che dovevano essere affrontate ben prima che lo diventassero è diventato il rischioso gioco della geopolitica mondiale. C’è da chiedersi perché e a favore di quali interessi…

Già, chi ci guadagna dietro a queste continue emergenze?

Tralascio l’emergenza sanitaria perché chi ci guadagna credo sia evidente anche agli occhi dei più sprovveduti. Ma se analizziamo gli andamenti degli investimenti degli ultimi due anni dei principali e più ricchi fondi finanziari internazionali nei business cosiddetti della Green Economy, si capisce al volo perché adesso la “infodemia” si sia spostata dalla crisi sanitaria a quella bellica e climatica. Praticamente di colpo! Ciò che fa sospettare sono i tempi e il contesto. Soprattutto, la cultura dell’emergenza, che mette sempre l’opinione pubblica di Stati che dovrebbero essere democratici di fronte alla ineluttabilità dei fatti e ai conseguenti provvedimenti “per decreto” ai quali si fa fatica a opporsi perché, appunto, vengono somministrati come urgenti e irrimandabili.

Come con il Green Pass?

Esattamente, come stanno dimostrando le evidenze totalmente “ascientifiche” sulle quali poggiava questo provvedimento “liberticida” e che adesso non solo emergono, ma che vengono ammesse, con colpevole ritardo e una certa dose di faccia tosta, dalle stesse case farmaceutiche produttrici dei vaccini. Come economista non entro nel merito degli aspetti sanitari. Ma potrei parlare a lungo dei danni economici – e perciò sociali – creati nel tessuto imprenditoriale del nostro Paese da questi decreti. Ricordo che la stragrande maggioranza della nostra economia poggia su micro, piccole e medie imprese di territorio e che questa è stata colpita, in parte mortalmente, da provvedimenti che oggi si dimostrano non solo esagerati, ma soprattutto immotivati dal punto di vista scientifico. Danni che ripareremo solo con molti anni di duro lavoro. Forse…

Cosa ci dice circa il cambiamento climatico in atto? Molti pensatori fanno ricadere tutte le colpe sulla Co2, ma molti scienziati non sono d’accordo…

Dopo l’esperienza Covid, in cui una sola linea era ammessa, anche su questo fronte non sono concessi pensieri non dico alternativi, ma almeno critici: si deve infatti solo ripetere in coro lo slogan di turno.

L’Ue in questo fa la parte della “maestrina”, pur rappresentando solo l’8% delle emissioni globali di CO2, e quindi suicidandosi economicamente e quasi inutilmente per l’ambiente rispetto a Paesi che approfitteranno di questa scelta.

La finanza cosiddetta “green” è cresciuta in modo esponenziale in questi ultimi 10 anni, difficile averne una stima precisa perché ormai il 75% dei prodotti in circolazione nei mercati finanziari si autodefinisce sostenibile, annacquando quindi le eccellenze reali di chi considera la Co2 un aspetto della sostenibilità; ma non l’unico, visto che il tema della reperibilità delle risorse è altrettanto importante, così come quello dell’inquinamento. Infatti, se si destinasse per esempio alla pulizia delle plastiche nei mari del mondo solo l’uno per mille delle risorse coinvolte nella transizione energetica avremmo un Pianeta più sano e vivibile. Ma, come con il Covid, quando tutte le altre malattie erano magicamente sparite, anche qui c’è un unico obiettivo, perlomeno apparente: “decarbonizzare” l’economia. È, anche in questo caso, una manipolazione della comunicazione mainstream…

Lei è quindi molto critico sui provvedimenti che per legge vengono imposti alle popolazioni, senza una seria sensibilizzazione al tema dell’ambiente, come per esempio, il decreto che impone entro il 2035 in tutta Europa la circolazione di sole auto elettriche…

Come ben spiega una recente ricerca dell’Università Bocconi, spesso sia le grandi aziende che le piccole medie imprese di territorio, almeno in Italia, sono più avanti rispetto ai provvedimenti improvvisi e drastici del legislatore che, ripeto, prima dorme e poi si sveglia annunciando emergenze. Sono perciò molto critico sul provvedimento che vieta entro il 2035 la circolazione delle auto a benzina e diesel in tutta l’Unione Europea. O meglio: non sono critico verso l’esigenza di definire degli obiettivi dal punto di vista ambientale, ma estremamente scettico sull’obbligo imposto dal regolatore di andare verso un’unica tecnologia da lui individuata, il che mi rende perplesso e sospettoso.

Torniamo alla “conversione ecologica”. Come procedere?

Con un vero e proprio cambiamento culturale che deve partire dalla politica e dalle istituzioni per poi arrivare profondamente, attraverso il tessuto economico, alla gente. Mi si opporrà che non c’è tempo e che si debba agire in fretta. La storia invece insegna che spesso i cambiamenti epocali, quelli solidi, veri e non “tattici”, passano attraverso la profonda sensibilizzazione di una massa critica di persone che poi agisce innescando ineluttabili e indelebili mutamenti, in un moto che parte dal basso. Ma le istituzioni di governo devono contribuire e non far solo finta di volere una transizione energetica ed ecologica. Mi spiego meglio: se non vengono rilasciati i decreti attuativi per lavorare sulle rinnovabili, se un’azienda che vuole costruirsi un impianto fotovoltaico rimane per anni in attesa delle autorizzazioni è inutile schiamazzare sull’emergenza. L’emergenza si è creata per l’insipienza, se non l’ostracismo, delle istituzioni politiche, nazionali e di territorio.

Bisogna procedere di pari passo, quindi, con un cambiamento culturale e contemporaneamente con provvedimenti legislativi e sburocratizzazione del sistema?

Esattamente. Se stressi la situazione e poi urli all’emergenza, emettendo decreti che rimangono pure inattuati, fai solo una grande confusione e manipoli, attraverso la comunicazione, l’opinione pubblica. È mera politica, con relative speculazioni; e della peggior specie. L’economia sociale e l’ambiente non c’entrano niente. Sono solo pretesti. E, soprattutto, inneschi sfiducia o, addirittura, contrarietà rispetto all’argomento. L’opinione pubblica diventa così passiva e gli imprenditori negativi e contrari ai cambiamenti veri, proprio perché messi in ginocchio da costi più alti, decreti che limitano le attività e mancanza di sburocratizzazione che agevolino i mutamenti profondi e realmente efficaci. Una situazione kafkiana, ma strategicamente voluta: far finta di voler cambiare affinché nulla cambi realmente!

E questo atteggiamento dal punto di vista economico cosa comporta per il nostro Paese?

È evidente: rimaniamo una colonia, senza nessuna autonomia decisionale, venduti al miglior offerente, che si chiami Europa, Stati Uniti o Cina. Un disastro economico e sociale per i nostri territori e per i loro protagonisti che formano quel tessuto imprenditoriale che è stato il nostro vanto nel mondo, dal Rinascimento a…ieri!