Inchieste

Alcol cancerogeno sull’etichetta?

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di Riccardo Lagorio

Uno spettro si aggira per l’Europa: quello dell’alcol. Dopo la pavimentazione dei locali di produzione e stagionatura di salumi e formaggi (difesa da pretestuose regole sanitarie dissimula l’interesse nei confronti della grande industria) e le ferree regole comunitarie per la misura che devono avere i molluschi pescati in mare (che penalizza i piccoli pescherecci a favore delle imbarcazioni a grosso cabotaggio), continuano le fantascientifiche provocazioni alla cultura gastronomica italica da parte delle lobby europee. Questa volta c’ha pensato l’Irlanda a scoprire i nervi a un sistema che di comunitario ha ben poco: le bottiglie di vino in Irlanda dovranno infatti essere etichettate con le indicazioni di pericoli legati all’alcol.

La Commissione europea ha spianato la strada all’Irlanda per introdurre le nuove etichette, che dovrebbero riportare avvertenze sulla salute simili a quelle sui pacchetti di sigarette, affermando che il consumo di alcol provoca malattie del fegato, danneggia il nascituro ed è direttamente collegato a tumori mortali.

«La situazione irlandese è assai complessa: il governo vuole porre rimedi a un problema sociale legato all’alcolismo e ciò non si può biasimare» spiega Lorenzo Cesconi, presidente di Fivi, la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti. «Tuttavia un conto è arginare questo problema, un altro adottare regole che sono al limite con il proibizionismo» continua. Gli fa eco Matilde Poggi, presidente a livello europeo della medesima confederazione in rappresentanza di 12mila produttori artigianali: «Bisogna educare il consumatore, non proibire. Ciò che mi allarma è che la produzione di cibo a tavolino viene ancora una volta salvaguardata, ma chi trasmette cultura alimentare non può dosare ciò viene offerto dalla natura».

Ma quali sono gli antefatti? La legislazione irlandese ha da tempo imposto prezzi minimi sui prodotti al dettaglio, facendo infuriare i consumatori che non possono più acquistare birra e vodka a buon mercato. Le autorità irlandesi sanno che mettere gli avvertimenti contro il cancro su tutti i prodotti alcolici crea un campo minato commerciale che contrappone gli interessi della salute pubblica ai produttori di alcolici.

Ciò spiega in parte perché, nonostante abbia ottenuto il via libera da Bruxelles, il ministro della Salute Stephen Donnelly non abbia ancora firmato la bozza di regolamento. Una volta che Donnelly avrà agito, l’orologio inizierà il conto alla rovescia su un periodo minimo di pianificazione di tre anni prima che i prodotti al dettaglio debbano iniziare a riportare gli avvertimenti, come parte del design della confezione o su un adesivo allegato. Ciò significa che il nuovo regime proposto non può entrare in vigore prima del 2026, mentre le pressioni da parte dell’industria delle bevande potrebbero ritardarlo ulteriormente o eliminarlo del tutto. «In effetti i produttori di vino vedono questo come un attacco a un prodotto che fa parte del vostro stile di vita e parte di una normale dieta sana», ci ha rivelato Cormac Healy, direttore di Drinks Ireland, il principale gruppo di pressione del Paese che riunisce birrai, distillatori e distributori. Dello stesso parere Ettore Prandini, presidente di Coldiretti: «L’etichettatura proposta equivale a disinformazione. Non è giusto confrontare l’alcol con le sigarette. Se consumato nella giusta quantità, un bicchiere a pasto, il vino giova alla salute».

Ma non è solo questo. Infatti i piani irlandesi «colpiscono le fondamenta dell’economia europea e mettono in dubbio la libera circolazione delle merci, smantellando uno strumento che ha dato tanti benefici agli europei», ha affermato Lamberto Frescobaldi, presidente dell’Unione Italiana Vini. Che sottolinea come il vino è un elemento strategico non solo in termini di Pil: «Prima di tutto, è un fattore identitario del nostro Paese. E questo è un valore inestimabile. Se lo dovessimo perdere penso che rinunceremmo a una parte di noi stessi, a una componente fedele della nostra storia e del nostro futuro. Ma il vino è anche economia: con 310mila imprese, 670mila ettari vitati, 1,2 milioni di addetti è in grado di generare un fatturato diretto di 15 miliardi di euro».

I produttori temono inoltre che altri Paesi membri della Ue possano seguire l’esempio di Dublino, «ognuno dei quali richiederebbe etichette diverse che aumenterebbero burocrazia e costi» insostenibili per le piccole realtà, rincara Matilde Poggi. Del resto il piano ha scatenato un contraccolpo nell’Ue, dove nove Paesi membri hanno presentato obiezioni e l’industria delle bevande lo definisce un attacco al mercato unico. Su questa linea anche Ulrich Adam, direttore generale di SpiritsEurope, che raggruppa i produttori di alcolici in Europa e sostiene che il regime irlandese non distingue tra consumo «moderato» ed «eccessivo» di alcol.

Per una volta sembra che l’Italia possa contare su appoggi di ampi gruppi d’influenza, che tendono a difendere le proprie istanze economiche. Ma da noi è anche una questione culturale. E questo fa, come sempre, la differenza.