Inchieste

L’AI ci rende più liberi, ma dovremo imparare a usarla

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di Antonio Dini

Un computer per collega. Dal settore finanziario a quello sanitario, dalla ricerca e sviluppo alla gestione delle pratiche amministrative. Dalla scrittura del codice all’erogazione di un mutuo. Non c’è un ambito in cui l’intelligenza artificiale (AI) non stia entrando di prepotenza, ma con gentilezza. La buona notizia è che non lo sta facendo per sostituire i dipendenti, bensì per affiancarli, renderli più efficienti, veloci, liberi di fare le cose importanti senza dover perdere ore per svolgere i compiti più ripetitivi e frustranti dei “knowledge worker”, dei lavoratori della conoscenza. Attenzione però: la sfida in realtà c’è.

Bisogna imparare a usare l’AI, altrimenti il lavoro lo farà chi saprà usarla.

Anche i numeri danno un’idea del fenomeno. Alla fine del 2023, secondo Idc, la spesa mondiale per le AI supererà gli 84,2 miliardi di dollari, con investimenti da parte del 51% delle aziende; saranno 98,4 miliardi nel 2026. Sino a 10 anni fa gli investimenti erano vincolati dalla mancanza di tecnologie adeguate, mentre oggi il problema è sostanzialmente quello delle competenze. Gli obiettivi: il 70% dei progetti è indirizzato al ridisegno dei processi, il 15% alla scrittura di nuovi algoritmi e il 15% alla parte puramente tecnologica. In Italia, secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, a inizio 2023 il mercato valeva 500 milioni di euro, con una crescita annua del 32%. Investimenti in atto per il 61% delle aziende (ma solo il 15% delle Pmi ha un progetto AI avviato).

Jared Spataro, il responsabile mondiale delle “Moderne applicazioni di lavoro e aziendali” di Microsoft lo ha detto chiaramente:

Dopo la pandemia e grazie all’AI stiamo concludendo la prima fase della digitalizzazione e stiamo entrando in una fase nuova e molto eccitante.

Ma cosa può fare l’AI per le imprese e i professionisti?

Abbiamo visto ChatGPT, il cosiddetto chatbot generativo dell’azienda americana OpenAI, capace di rispondere a qualsiasi domanda gli venga posta, anche se non sempre in maniera affidabile. In realtà, gli strumenti a disposizione sono molti di più, sia il numero di differenti intelligenze artificiali basate sul machine learning (ci sono almeno 60 tipi diversi con differenti obiettivi, potenza e capacità d’impiego) e un numero pressoché infinito di applicazioni gestite da terze parti per sfruttare le caratteristiche dei principali modelli. Un po’ come se OpenAI fosse uno dei grandi produttore di automobili, ChatGPT un modello di autovettura e poi le decine di fornitori comprassero le auto per proporle come servizi a noi: taxi, trasporto di pacchi, di animali, per la spesa.

Tutto è iniziato lo scorso novembre: in 5 giorni giorni 1 milione di utenti di OpenAI ha acceso i riflettori sull’AI, oggi sono un miliardo gli accessi al mese solo per ChatGPT. Ma l’esplosione di prodotti e servizi è solo cominciata. E anche solo fare una lista è come svuotare il mare con un secchiello: sono migliaia e migliaia. Però, se andiamo a guardare il mondo del lavoro, le cose si fanno un po’ più chiare.

Cambia innanzitutto l’approccio alla gestione dei processi e delle persone. L’AI amplifica le competenze, non le sostituisce.

Le applicazioni? Ovunque ci sia un lavoratore della conoscenza (dal semplice impiegato al massimo dirigente) si può pensare di affiancargli una AI. Da Outlook e Gmail, che permetteranno di scrivere un’intera mail di lavoro partendo da un paio di parole chiave, a soluzioni più complesse e su misura.

L’italiana iGenius ha sviluppato sistemi di intelligenza artificiale che si “nutrono” dei dati dell’intranet e permettono ai dipendenti di “parlare” con i propri numeri. E classificare in modo automatico e in tempo reale le richieste commerciali, per fornire informazioni attraverso un’interfaccia semplice e intuitiva per l’utente. Lo fa già Enel, ad esempio, ma i casi d’uso stanno diventando decine e decine. Poste Italiane e Inps, che in questi ultimi due anni hanno radicalmente digitalizzato i propri servizi, riducendo i tempi di lavorazione di pratiche da qualche mese a poche settimane o giorni, con l’AI potranno rendere istantanee le risposte.

Un altro settore nel quale l’AI porterà un aiuto fondamentale è l’industria, soprattutto durante le accelerazioni improvvise che spesso colgono impreparate le aziende e impediscono di cogliere le opportunità. Un settore per tutti è quello delle fonti energetiche rinnovabili, in particolare di eolico e fotovoltaico. Secondo l’IEA (International Energy Agency) stiamo per entrare nell’epoca del boom elettrico, con un’enorme crescita in capacità globale di energia rinnovabile: 2.400 GigaWatt nel periodo 2022-2027, pari all’intera capacità elettrica della Cina odierna. Chi sarà più efficiente vincerà, e varie startup (come le statunitensi Built Robotics e Terabase Energy) stanno aprendo la strada a metodi più efficaci e rapidi di installazione degli impianti. La chiave? L’AI.

Un altro campo in cui l’intelligenza artificiale sta per fare la differenza è quello della robotica. I robot intelligenti stanno per arrivare ovunque: a casa per assistere gli anziani (in Giappone le ricerche sono avanzatissime) o per pulire i pavimenti e dare una mano in cucina, ma anche in fabbrica con i bracci vincolati o con i carrelli che si muovono negli impianti.

La medicina? Gli investimenti in questo settore sono enormi. L’assistente AI non sostituisce il medico ma lo libera da tantissime attività e aggiunge un paio di “occhi digitali” per leggere i referti e le analisi. Ad esempio, il CoMPaSS-NMD è un progetto europeo guidato dall’università di Modena e Reggio Emilia, in cui l’AI supporta i medici nella diagnosi e il monitoraggio dei disturbi neuromuscolari ereditari e nella progettazione di percorsi terapeutici personalizzati. Ma l’AI permette di riconoscere tracce che spesso sfuggono ai medici e allertare sulla presenza di neoplasie agli stadi iniziali.

Settore finanziario? Oggi già il 95% del trading è fatto da sistemi automatici, in cui l’Ai aggiunge una marcia in più per effettuare valutazioni in frazioni di secondo e movimentare capitali enormi. Per le banche e assicurazioni le funzioni automatizzate, gli avatar e le piattaforme di ultima generazione stanno aprendo la strada a un mercato che si stima sarà di 64 miliardi di dollari di fatturato entro il 2030. Per i liberi professionisti è la possibilità di avere accesso a un intero network virtuale di competenze (legali, amministrative, di traduzione, di staff) grazie alla AI senza bisogno di assumere o pagare nessuno.

Stanno inoltre per cambiare i servizi di base di qualsiasi attività commerciale: Microsoft e Google per le loro suite per la produttività (Office e GoogleWorks) da un lato e gli altri attori come Oracle, SAP, Salesforce, stanno inserendo soluzioni e “pezzetti” di AI che permettono di fare moltissime cose: riconoscere automaticamente i campi di un documento cartaceo mentre viene scannerizzato, interagire direttamente con un vecchio sistema amministrativo senza bisogno di riscriverlo, generare traduzioni in più lingue in tempo reale internazionalizzando i servizi di assistenza e post-vendita.

Infine, la rete. Internet sta per cambiare completamente, con più di tre quarti dei contenuti che verranno creati da intelligenze artificiali.

La sfida per le aziende? Capire come fare ad essere rilevanti non più nei risultati dei motori di ricerca bensì nelle risposte di ChatGPT. Un problema, questo sì, per il quale ancora non è stata pensata una soluzione intelligente.

Nove milioni di italiani “a scuola”per sfruttare l’AI sul posto di lavoro

Le opportunità si colgono preparandosi. E l’Intelligenza artificiale non fa differenza: imparare a usarla sul posto di lavoro oggi riguarda più di nove milioni di italiani. Per Mauro Macchi, numero uno di Accenture Italia, «l’Italia ha una grande opportunità per raggiungere i livelli di produttività dei principali Paesi del mondo, aumentando l’adozione delle tre tecnologie chiave delle organizzazioni: intelligenza artificiale, cloud e big data».

La trasformazione digitale cambia marcia, dunque, e si aggiunge anche la nuova tecnologia dirompente dell’AI, che cambia il modo di funzionare delle aziende e del mercato. «L’AI – dice Macchi – se adottata correttamente dalle imprese italiane, favorirà la creazione di 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro in molteplici settori. Nei prossimi anni fino al 40% di tutte le ore lavorative sarà supportato o potenziato dall’intelligenza artificiale basata sul linguaggio, conosciuta anche come AI generativa».

Questa rivoluzione porta con sé un bisogno di competenze. Il tema non è nuovo. Per l’Unione europea, infatti, il 2023 è l’anno delle competenze. Gli sforzi per aiutare i lavoratori ad acquisire nuove competenze per poter gestire l’AI sul posto di lavoro o a cambiare ambito lavorativo sono moltissimi. «Secondo le nostre stime – dice Macchi – nove milioni di italiani avranno bisogno di formazione per poterne sfruttare le qualità della AI. A nostro avviso questa è la vera sfida dei prossimi anni».

Una sfida che richiede piani strategici che attraversano sia i comparti che i livelli di formazione. A scuola, cioè all’università, si studia infatti l’AI. Sono 45 i corsi di laurea in Ai in Italia, in 53 atenei censiti dall’associazione del settore, AIxIA. Con un totale di 7.635 crediti formativi erogati tra le facoltà censite, il 70% sono lauree magistrali, il 27% lauree triennali e il 3% magistrali a ciclo unico. Non c’è ateneo che non abbia attivato insegnamenti di primo o secondo livello. E non toccano solo le discipline scientifiche: dal corso di laurea in Filosofia e Intelligenza Artificiale alla Sapienza di Roma al corso di Diritto e intelligenza artificiale dell’università Mediterranea di Reggio Calabria, l’AI è diventata il compagno di classe dei nostri studenti.

Dalla mail dei clienti alle risposte ai committenti un alleato affidabile nella gestione delle Pmi

A marzo, Goldman Sachs ha previsto che il 18% del lavoro in tutto il mondo potrebbe essere automatizzato dall’intelligenza artificiale. Impiegati e avvocati a rischio, si salva solo chi lavora nell’edilizia e nella manutenzione. Forse no. In realtà, poche settimane dopo la prospettiva è già cambiata. L’AI fa bene al lavoro, soprattutto a chi vuole fare impresa o è impegnato in una professione. Un socio con cui non si può litigare. L’AI infatti sta già facendo bene ad esempio ha chi ha una piccola attività di e-commerce: magazzino e fornitori si gestiscono con facilità così il rapporto con i clienti.  permette di avere traduzioni affidabili, mentre per scrivere descrizioni sempre nuove di prodotti  è imbattibile.

Sui network di pubblicità online i servizi di AI permettono di creare target personalizzati di annunci, mentre anche chi non è bravo con il codice può gestire la parte tecnica del proprio sito web usando Copilot di Microsoft. Il sito cresce? L’AI è capace di automatizzare attività di routine come la gestione delle e-mail dei clienti e le risposte ai commenti. E l’AI permette anche di ottimizzare i motori di ricerca creando profili Seo di qualità. Negli Usa alcuni coraggiosi hanno fatto esperimenti ancora più “estremi”, affidandosi completamente alla AI: dato un certo budget di poche centinaia di dollari, gli hanno chiesto un piano passo-passo su qualsiasi possibile attività a condizione che fosse legale, per arrivare al traguardo di un milione di dollari in tre mesi. Il risultato è stato mancato ma alcune scelte sono state comunque sorprendenti, almeno rispetto ai sistemi automatici attuali. A parte le soluzioni estreme, però, i punti di forza dell’AI come supporto alla piccola impresa e ai professionisti sono: semplificazione e personalizzazione nell’analisi dei dati, automatizzazione delle attività ripetitive, capacità di scalare in caso di picchi di lavoro e infine la capacità di creare contenuti (sempre da verificare) di qualità elevata per il marketing, la comunicazione, l’assistenza alle vendite e anche la formazione.