Inchieste

Nava: Putin non molla, la guerra sarà lunga

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di Gabriele Politi

Febbraio 2022: Massimo Nava (già inviato e corrispondente di guerra del Corriere della Sera) scriveva in un editoriale: «Il separatismo del Donbass e l’annessione della Crimea hanno un precedente (e un altro pretesto) nel Kosovo. Gli accordi di Minsk non sono stati applicati, (…) dopo tanti lutti, si torna al punto di partenza: l’autonomia dei territori contesi, la neutralità dell’Ucraina come base di trattativa. Se immaginiamo il dopoguerra, qualche interrogativo si impone».

A un anno di distanza dallinizio del conflitto russo-ucraino qual è a questo punto la situazione militare?

Sarà banale ma mi ricorda il famoso romanzo: “Niente di nuovo sul fronte occidentale”. C’è una situazione di stallo in cui i belligeranti si confrontano sulle trincee con avanzamenti e ritirate a seconda della rispettiva potenza di fuoco. In questo momento, si registra un piccolo vantaggio delle truppe russe nel Donbass che puntano alla conquista di nodi strategici, ma gli ucraini preparano una controffensiva. La situazione appare bloccata anche dalle condizioni climatiche però le cose potrebbero evolvere con la primavera.

Consideriamo dunque iniziata lannunciata offensiva russa di primavera” o dobbiamo aspettarci azioni più massicce e intensive?

Dalle informazioni che circolano sembra che la campagna di arruolamento sia in atto. Inoltre, i russi minacciano azioni più pesanti (Ndr – il Financial Times ha scritto di caccia ed elicotteri di Putin ammassati al confine ucraino ma il segretario alla difesa Usa ha detto «Non li vediamo») in risposta alle ingenti forniture militari che europei e americani garantiscono all’Ucraina. Per ora si parla di carri armati e di difese missilistiche, ma se arriveranno a Kiev anche gli aerei il rischio di escalation è sempre più forte. Mi pare che parlare di pace, in questo momento, sia molto arduo: i russi non hanno nessuna intenzione di cedere.

È ragionevole pensare che la diplomazia stia sempre lavorando sottotraccia o è davvero relegata agli ultimi posti tra le opzioni ribadite pubblicamente? Ci sono margini realistici di trattativa, al di là delle dichiarazioni di Zelensky e Putin?

In questa guerra, come in ogni guerra, la propaganda ingigantisce lo spirito patriottico e nazionalista e si enfatizzano parole come resistenza e vittoria finale, ma qualcosa si muove. Nelle capitali occidentali si continua a riflettere su come avviare un processo di pace. Ribadirlo è un’ovvietà ma la pace si fa tra nemici. Nella ricerca di soluzioni contano anche gli umori delle opinioni pubbliche che condizionano le decisioni politiche. L’Europa riafferma la solidarietà agli ucraini e l’unanimità delle decisioni, ma le scelte dei singoli Paesi e l’atteggiamento politico non sono unanimi. Penso alle indecisioni e alle prudenze della Germania, alla politica della porta aperta della Francia, alle posizioni di Austria e Ungheria, per non parlare dell’ultima, clamorosa uscita di Berlusconi sulle «responsabilità» di Zelensky. Naturalmente, Berlusconi è stato attaccato come amico del «sanguinario» Putin, ma certe osservazioni sulla genesi del conflitto e sulle cause storiche non sono campate per aria. Le abbiamo sentite dalla bocca di Kissinger e lette in autorevoli saggi americani. Il punto cruciale resta l’atteggiamento della Casa Bianca, anche in relazione al peso dell’opinione pubblica e degli umori dei partiti. Secondo i sondaggi, il consenso a Kiev non è più così alto come all’inizio della guerra. In casa repubblicana ora ci si interroga sul senso di questo enorme contributo militare e finanziario verso l’Ucraina.

Nessuno ha la sfera di cristallo ma la domanda che tutti si fanno è: quanto durerà ancora questa guerra?

Se ricordiamo da quanti anni dura il conflitto in Siria, da quanti anni è instabile la Libia, da quanti anni sono aperti tanti conflitti nel mondo – e ricordo i dieci anni di guerra nei Balcani, alle porte di casa – mi sembra molto difficile immaginare una soluzione in tempi brevi, tantomeno una fine delle ostilità. È probabile che per una serie di fattori diplomatici, militari, economici e politici, ci possa essere una de-escalation, anche per scongiurare la minaccia di una guerra nucleare. Ma un conflitto a bassa intensità potrebbe andare avanti per molto tempo. Oggi parliamo di un anniversario considerando il 24 febbraio l’inizio dell’invasione russa ma la guerra in Ucraina e nel Donbass dura dal 2012-13. Un decennio con migliaia di morti su entrambi i fronti, vendette, massacri e distruzioni rimaste molto nel cono d’ombra dell’informazione. Se la politica e la diplomazia si fossero mosse per tempo, forse questa tragedia poteva essere evitata o almeno contenuta.  Siamo abituati – osservatori, giornalisti, analisti e politici – a osservare la realtà con il nostro schema mentale e a proiettare le nostre conclusioni come se tutti la pensassero allo stesso modo. Ma è del tutto evidente che i russi, giusto o sbagliato, non ragionano così. Quando Putin dice che non arretrerà, c’è da giurarci o da scommettere che lo pensi davvero. Per questo credo che il conflitto possa risolversi soltanto con un compromesso. Non sarà moralmente etico (le responsabilità di Mosca sono indiscutibili) ma è purtroppo logico. Ricordo che parliamo di una regione, il Donbass, pari a Lombardia e Veneto messe assieme, ricco di materie prime e abitato da una forte minoranza russofona. Su questo si è innescata la partita del separatismo, con rivalse e rivendicazioni da una parte e dall’altra come storicamente avvenuto in molte parti del mondo dove sono in gioco destini e aspirazioni di minoranze all’interno di confini statuali. Il Kosovo, per ricordare un caso emblematico, appartiene alla stessa micidiale logica. Con la differenza che lì prevalse l’imperativo della difesa di una minoranza oppressa, in Donbass prevale il principio della sovranità statuale.

È la pietra tombale sul concetto del libero mercato globalizzato che mette daccordo tutti sempre e comunque?

È di sicuro una smentita all’idea che in un mondo globalizzato le leggi del mercato possano regolare tutto, prescindendo dalla politica, dagli interessi dei singoli Paesi, dalle logiche delle grandi potenze. Stiamo assistendo a una ricomposizione delle sfere di influenza che sa molto di ritorno all’antico, anche se oggi i «blocchi» contrapposti sono più di due rispetto al tempo della guerra fredda. Credo che l’elemento più preoccupante, su cui non si riflette abbastanza, sia il fatto che l’occidente e le democrazie stanno diventando minoranze nel mondo. Di fatto la Russia non è isolata: Cina, India, Sudafrica, Brasile… hanno una valutazione degli avvenimenti sostanzialmente diversa. Il vero nodo, per cui ora non ci sono risposte, è quale sarà il peso della Cina: economia e finanza tengono aperta la comunicazione con gli Usa, ma sul piano geopolitico Cina e Russia si stanno avvicinando e stanno espandendo la loro influenza su tutta l’Africa, oltre ai noti rapporti con l’Iran, con alcuni Paesi asiatici e mediorientali. Infine c’è l’India, che per popolazione e peso specifico nel mondo conterà sempre di più. E non sarà equidistante fra Cina e Usa.