Inchieste

Europa: due anime alla prova della coesione

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di Attilio Geroni

Un anno di guerra ai propri confini, rescissione del cordone ombelicale energetico con la Russia e contestuale accelerazione verso le fonti rinnovabili, un decimo pacchetto di sanzioni in arrivo contro Mosca e decine di miliardi in aiuti – finanziari, militari e umanitari – all’Ucraina. Il tutto, in un contesto macroeconomico estremamente difficile, con un livello d’inflazione mai così alto dalla nascita dell’euro. Dopo gli anni della pandemia, è arrivato uno shock geopolitico alle porte d’Europa che ha costretto e sta costringendo più o meno tutti i Paesi dell’Unione a ripensare profondamente la loro collocazione e le priorità nelle relazioni internazionali.

Nei giorni immediatamente successivi all’invasione del 24 febbraio, la Ue in quanto tale ha autorizzato per la prima volta nella sua storia finanziamenti per l’acquisto di armi e la Germania ha annunciato l’istituzione di un fondo da 100 miliardi di euro per ammodernare e potenziare l’esercito. Sempre la Germania, poco tempo prima e su pressione degli Stati Uniti, aveva rinunciato al gasdotto con la Russia, Nord Stream 2. La Storia ha subìto un’accelerazione; l’Europa ne ha preso rapidamente atto; la risposta è stata corale.

Un anno dopo questa coralità resiste, ma il protrarsi della guerra in Ucraina e aiuti militari sempre più importanti destinati dall’Occidente a Kiev, la stanno mettendo a dura prova. L’ultimo esempio di nota dissonante è stato il mancato invito del presidente francese Macron alla presidente del Consiglio italiano Meloni in occasione dell’incontro a Parigi con il capo di Stato ucraino Zelensky, incontro al quale era invece presente il cancelliere tedesco Scholz.

Al di là dei tradizionali salti in avanti dell’asse franco-tedesco, è possibile che in questa fase di aumentata incertezza e preoccupazione per il protrarsi della guerra, il sostegno dell’Italia all’Ucraina – o meglio, del governo italiano – non sembri così solido come quello di altri Paesi, soprattutto a causa di esternazioni e posizioni di altri esponenti della maggioranza di governo. Episodio italiano a parte c’è, nel fondo, una linea di divisione in Europa sempre più netta tra i Paesi che sostengono senza riserve l’invio di armi all’Ucraina e chi è sempre meno convinto – o non abbastanza convinto – che sia la strategia giusta. Non sono dinamiche nuove. In parte erano già emerse durante l’intervento militare americano in Iraq: criticato aspramente da Francia e Germania, appoggiato in maniera incondizionata da quasi tutti i Paesi dell’Europa dell’Est che di lì a poco sarebbe entrati a far parte dell’Unione europea durante il grande l’allargamento del 2004. Oggi si ripropongono, sempre attorno all’orbita americana, o anglosassone se vogliamo essere più precisi: si è formato un asse costituito da Paesi Nordici (Svezia e Finlandia che hanno deciso di entrare nella Nato, Erdogan permettendo), dalle Repubbliche Baltiche e da molti Paesi dell’Europa Centro-orientale, Polonia in testa.

Questo fronte, molto ampio, non ha dubbi sulla necessità di rispondere a ogni escalation dell’offensiva russa in Ucraina con nuove forniture militari a Kiev, che siano sistemi di difesa aerea, mezzi corazzati, missili o, in ultima analisi, aerei da combattimento di nuova generazione. La prossimità geografica al conflitto, la memoria storica dell’Urss e della Russia imperialista, le relazioni articolate e profonde con gli Stati Uniti e il Regno Unito in molti di questi Paesi stanno facendo la differenza. Nell’unità di intenti si vedono le differenze dei singoli Paesi negli aiuti complessivi a Kiev, come risulta dal monitoraggio effettuato dall’Istituto di ricerca economica di Kiel, l’IFW, con l’Ukraine Support Tracker che calcola tutti gli impegni, militari e non, messi in campo da inizio conflitto a fine novembre 2022. La piccola Lettonia, ad esempio, che ha un confine diretto con la Russia e una minoranza russofona che rappresenta circa un terzo della popolazione, ha destinato in aiuti all’Ucraina (finanziari, umanitari e militari) una cifra pari all’1% del Pil contando la componente di fondi europei, rispetto allo 0,24% dell’Italia o allo 0,25% della Francia.

In termini assoluti l’Unione europea (fondi Ue più contributi bilaterali) ha superato gli Stati Uniti come impegno finanziario sui tre fronti portandosi a 52 miliardi di euro rispetto ai 48 americani, in virtù soprattutto del nuovo pacchetto di Assistenza Macro-Finanziaria da 18 miliardi annunciato per quest’anno. C’è un quadro d’insieme, dove l’impegno è innegabile, e un dettaglio che disegna una geografia e un’intensità degli aiuti diversa. Sul piano militare, sempre in termini assoluti, a fine novembre dietro Stati Uniti e Regno Unito con impegni rispettivamente di 23 e 4 miliardi di euro, c’erano Germania (2,3) e Polonia (1,8) mentre la Francia è al decimo posto dietro Norvegia, Svezia, Danimarca e Repubblica Ceca.

Il proseguimento del conflitto metterà a dura prova la coesione di queste due Europe (ri)emerse dopo tanti anni. In realtà sta già creando nuovi equilibri che vedono, come sempre, la Germania nel ruolo di grande mediatore tra tendenze non per forza contrapposte, ma in grado di creare pericolose frizioni nel meccanismo bilaterale e multilaterale di sostegno all’Ucraina. La Francia da parte sua cercherà in ogni modo di tenere agganciata a sé una Germania la cui priorità geopolitica in uno scenario post-guerra è quella di un ulteriore allargamento dell’Unione a Est, Ucraina compresa.