Inchieste

Reshoring: più flessibilità e tutele con tempi ridotti

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di Dino Bondavalli

Un ritorno alle origini, con il romantico omaggio alla storica tradizione italiana di produzione delle più belle e blasonate biciclette esistenti nel panorama internazionale. Ma anche una scelta strategica, dettata da ragioni tecniche, organizzative e commerciali diventate ancora più stringenti dopo che la pandemia ha messo in evidenza tutti i nodi critici di una globalizzazione non adeguatamente governata e di un sistema logistico mondiale non più sufficientemente affidabile.

È una scelta dettata al tempo stesso dal cuore e dalla testa quella che ha portato 3T, azienda italiana con alle spalle oltre 60 anni di storia (è nata nel 1961) e oggi uno dei marchi più quotati a livello mondiale nella produzione di biciclette gravel di alta gamma, a riportare in Italia la produzione dei suoi telai in fibra di carbonio, che rappresentano una sorta di sacro Graal per gli appassionati delle due ruote.

L’azienda, che oltre al quartier generale di Presezzo (in provincia di Bergamo) ha aperto nel corso degli anni una sede in Canada e una Taiwan, aveva già iniziato dal 2018 a produrre in Italia alcune delle componenti delle sue bici, come corona e pedivelle. Poi, a metà del 2021, ha annunciato di aver “cominciato a costruire telai” nella propria Carbon Factory, dove i vantaggi rispetto alla produzione in Asia sono diversi: «Pieno controllo del processo produttivo, tempi complessivi ridotti, maggiore flessibilità e – last but not least – garanzia di tutela della tecnologia proprietaria».

Una decisione facile da prendere, ma non esattamente banale da realizzare. Il 99% dei telai in carbonio, infatti, sono realizzati in Asia (a Taiwan e in Myanmar), compresi quelli di fascia molto alta. E il lavoro manuale gioca ancora oggi una parte rilevante nel processo produttivo.

Il rientro in Italia della produzione, per il momento solo di quella dei telai di fascia top, è quindi stato accompagnato da grandi cambiamenti. È, infatti, stato sviluppato un nuovo sistema produttivo, che ha richiesto la progettazione e costruzione di macchinari ad hoc e che ora garantisce un grande risparmio di tempo e di energia.

Per l’azienda si è trattato di un notevole investimento. Puntare sul Made in Italy ha significato aprire «una nuova linea produttiva, studiare nuovi processi e assumere nuovi addetti». Oggi nella Factory lavorano oltre 10 persone e viene sviluppato un livello di innovazione tecnologica molto più alto di quello che c’è in Asia.

Nessuna sorpresa, quindi, che i risultati si stiano già vedendo. Le biciclette made in Italy sono richiestissime nonostante il prezzo sia quasi doppio rispetto a quello dei mezzi prodotti in Asia (con quotazioni comprese tra gli 8 e i 12 mila euro).

Nel frattempo l’azienda, che è guidata da René Wiertz e Gerard Vroomen e che punta a «riportare progressivamente in Italia tutta la produzione», ha visto il proprio fatturato crescere del 300% in pieno periodo Covid, arrivando a quota 20 milioni di euro nel 2022. Un trend che pare confermato anche per quest’anno. E che trarrà sempre più spinta dal progressivo ampliamento delle linee made in Italy.