Inchieste

Tassi alle stelle: si rischia un’altra crisi subprime

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di Gabriele Politi

La crisi dei mutui subprime che ha travolto l’economia globale quattordici anni fa potrebbe riaffacciarsi di nuovo. Ne è convinto Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi (Federazione Autonoma Bancari Italiani), che al Settimanale spiega l’impatto sui mutui della manovra restrittiva della Bce e ribadisce gli interventi indispensabili per sostenere cittadini e aziende. La Ue deve ragionare non solo in termini di politica monetaria, dice, ma pensare a un piano condiviso con misure fiscali per tutti i paesi. Infine un monito alle banche: si occupino meno di finanza e assicurazioni e recuperino il ruolo sociale di un tempo

Il rialzo dei tassi operato dalla Bce quali conseguenze sta avendo sui mutui per famiglie e imprese italiane? Di che numeri stiamo parlando?
La Bce ha portato il costo del denaro, in pochissimi mesi, dallo 0% fino al 2%. Questo rialzo repentino ha inevitabilmente avuto un effetto sugli interessi che le banche applicano ai prestiti. Ed è naturale che sia così perché la differenza è enorme: prima le banche “compravano” a zero la liquidità dalla Banca centrale europea, mentre adesso devono pagarla. Il problema sta nei tempi dell’accelerazione, probabilmente troppo bruschi. Così i tassi sui mutui, già oltre il 4% a settembre, potrebbero arrivare a superare la soglia del 5% nelle prossime settimane. Questo vuol dire mettere in difficoltà chi vuol comprare casa, perché le rate saliranno significativamente e vuol dire, quindi, danneggiare il mercato immobiliare.

Qual è il meccanismo per il quale i tassi di interesse delle banche italiane sono praticamente doppi rispetto a quelli di altri paesi europei come, ad esempio, la Francia?
Una delle ragioni della differenza tra Italia e Francia sta soprattutto nei tempi della giustizia e in quelli del recupero crediti. Una banca in Francia impiega molto meno di una italiana a rientrare di prestiti in sofferenza. L’altra ragione sta nel più alto livello di patrimonializzazione delle imprese francesi rispetto a quelle italiane. Questi fattori sono fondamentali per il mercato del credito perché vuol dire, per una banca, avere meno rischi e quindi costi più bassi nella gestione dei loro prestiti deteriorati. Quello che, però, non può trovare giustificazione è la dimensione della differenza: non è accettabile che i prestiti in Francia costino la metà rispetto all’Italia, nonostante tutto. Probabilmente, in Italia qualcuno esagera e specula a danno delle imprese e delle famiglie.

Pensiamo alle coppie di giovani che magari hanno da poco e con fatica acceso un mutuo o a quelle aziende che oltre a sostenere bollette energetiche record si trovano adesso ad affrontare anche mutui raddoppiati o triplicati (per immobili o per macchinari, attrezzature, etc.). Esistono degli strumenti per limitare gli effetti dei rincari record? Quali misure potrebbero essere messe in campo dal governo e dal mondo bancario?
Abbiamo già chiesto al governo di intervenire con tre misure: potenziare il fondo di garanzia con il quale lo Stato fa da garante con le banche per i giovani under 36 che chiedono un mutuo per comprare casa. Poi riteniamo indispensabile prorogare anche per i prossimi anni le agevolazioni fiscali, sempre destinate ai ragazzi, che azzerano le tasse sui mutui. Per aiutare, invece, chi oggi è in difficoltà con il pagamento delle rate, occorre rinnovare le moratorie cioè le norme che consentono di congelare per 18 mesi le rate dei mutui, di fatto aumentando per un determinato periodo il reddito disponibile. 

Se i tassi sui mutui arriveranno come si teme al 5% quale sarà l’impatto sulla nostra economia?
L’impatto, come le ho accennato, sarà rilevante perché il rallentamento dei mutui frenerà, nel breve periodo, le compravendite di immobili e, nel medio-lungo periodo, produrrà una riduzione dei prezzi delle casse. Una flessione che avrà conseguenze su alcuni settori limitrofi, come quello delle ristrutturazioni edilizie o quello degli arredamenti. Non va sottovalutata questa prospettiva.

Inflazione: in Italia è quasi al 12%. La politica monetaria restrittiva della Bce è l’unica possibile per combatterla nell’eurozona?
Probabilmente no. La Bce ha strumenti per alcuni versi limitati nel contrastare questo tipo di inflazione che non è legata né alla crescita economica né all’aumento degli stipendi. L’inflazione che dobbiamo combattere oggi è malata perché è frutto della speculazione internazionale sui prezzi delle materie prime, specie quelle energetiche. Accanto alla politica monetaria, serve un piano, condiviso in sede europea, con misure fiscali in tutti i paesi Ue. È in queste situazioni difficili che serve l’Unione europea fino in fondo.

Questa politica di inasprimento dei tassi della Banca Centrale Europea può mettere a repentaglio la sostenibilità del debito di cittadini e aziende e creare le condizioni perché nella Ue scoppi una seconda crisi dei mutui subprime?
Lo scenario dei mutui subprime è concreto in tutta Europa se i tassi di interesse sui prestiti per la casa resteranno a livelli così alti, senza che ci sia una adeguata crescita economica che faccia da un lato aumentare il pil e dall’altro faccia aumentare anche gli stipendi. Solo in Italia, per darle un dato, più di 7 milioni di lavoratori sono in attesa dei rinnovi dei loro contratti collettivi nazionali di lavoro, quindi, hanno retribuzioni ferme da parecchi anni, anche più di cinque.

Quale ruolo devono avere le banche in questo momento così difficile?
Le banche devono recuperare il ruolo sociale di un tempo, quando erano realmente e concretamente a sostegno dei territori, delle famiglie e delle imprese, quando si guardavano i bilanci senza troppa ortodossia, ma si cercava soprattutto di sostenere e finanziare le idee, un po’ come avviene oggi nei paesi del Nord Europa. Oggi, invece, alcune banche sono ossessionate dalla ricerca di maggiori ricavi derivanti dalla vendita di prodotti finanziari e assicurativi. Una scorciatoia che porta a produrre utili e dividendi da garantire agli azionisti: in questo modo gli amministratori delegati delle banche tutelano le loro poltrone e il loro potere, ma non fanno il bene del Paese, al netto della propaganda di alcuni gruppi.

Appena entrato in carica il governo Meloni ha riaperto il dibattito sull’innalzamento del tetto al contante. È d’accordo su un intervento di questo tipo? Se sì fino a quale soglia e perché?
È un argomento sul quale è necessario ragionare soprattutto con pragmatismo. Certamente un tetto troppo alto all’utilizzo del denaro contante potrebbe rappresentare un assist per evasori o per chi ricicla denaro di provenienza illecita. Non dobbiamo dimenticare, però, che, secondo alcune stime attendibili, nelle cassette di sicurezza delle banche, giacciono circa 150 miliardi di euro. È una cifra di poco inferiore al 10% del nostro prodotto interno lordo e, se messa in circolazione, magari grazie una soglia di 3mila o 5mila euro, avrebbe benefici per la crescita economica, a cominciare dai consumi.