La Settimana Internazionale

Chip: il no degli USA a Pechino minaccia l’industria del futuro

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di Attilio Geroni

Non bastano l’invasione russa dell’Ucraina, l’inflazione fuori controllo e le grandi banche centrali che in simultanea adottano politiche monetarie restrittive per riportarla al due per cento. Non basta la prospettiva di una recessione globale a causa di una combinazione micidiale tra geopolitica e shock macroeconomico.

La cattive notizie giungono anche da quello che promette di essere il fronte più caldo dei prossimi anni, anzi dei prossimi decenni, il braccio di ferro tra Stati Uniti e Cina per la supremazia mondiale.

L’Amministrazione Biden ha presentato nelle settimane scorse una serie di misure restrittive senza precedenti contro l’avanzata tecnologica di Pechino. Il settore preso di mira è quello dei chip. Le aziende di Pechino avranno accesso limitatissimo all’acquisto dei semiconduttori più avanzati e delle componenti per realizzarli: senza una specifica licenza nulla di tutto questo potrà essere venduto alla concorrenza cinese.

La guerra economica iniziata da Donald Trump e che negli anni scorsi si era concentrata sulle infrastrutture 5G, dove molti gruppi cinesi vantano posizioni di rilievo su scala mondiale, si è spostata su un piano ancora più sofisticato, quello che porta all’intelligenza artificiale e al primato tecnologico globale.

Il presidente Xi Jinping ha ribadito questo obiettivo in occasione del 20° Congresso del partito comunista cinese e ritiene che la Cina entro il 2035 possa essere una delle economie tecnologicamente più avanzate al mondo. Proprio per contrastare tale ambizione, le misure dell’Amministrazione Biden tagliano a Pechino i “rifornimenti” più importanti proibendo alle aziende americane e/o a quelle che utilizzano tecnologia americana di vendere chip o componenti per realizzarle a produttori finali cinesi.

Il divieto di vendita e cooperazione si estende anche ai cittadini statunitensi o titolari della green card.

Nell’ambito dei nuovi provvedimenti non sarà più possibile vendere ai cinesi, ad esempio, avanzatissimi chip di calcolo come NVIDIA A100/H100 e Intel GPU (Ponte Vecchio). In seguito alla notizia, formalizzata in ottobre, Apple, secondo il giornale giapponese Nikkei, avrebbe deciso di sospendere l’utilizzo dei chip di memoria del produttore cinese Yangtze Memory Technologies per i suoi iPhone da vendere in Cina.

Mark Williams e Zichuan Huang, analisti di Capital Economics, in un recente report citato da CNN Business, ritengono che la decisione di Biden rappresenti una minaccia enorme per le ambizioni tecnologiche della Cina. Secondo i due esperti l’industria globale dei chip è «quasi interamente dipendente» dagli Stati Uniti e dai Paesi alleati per quanto riguarda ricerca, produzione e relativa componentistica. Senza questi elementi non solo le aziende cinesi non avranno accesso ai chip più avanzati, ma non potranno nemmeno sviluppare capacità tecnologiche e produttive proprie per compiere il salto di qualità. «È come se gli Stati Uniti avessero tagliato alla Cina i pioli della scala tecnologica», sostengono gli analisti.

Ovviamente negativa la reazione di Pechino, che ha chiesto a Washington di tornare sui suoi passi. Quali potrebbero essere le ritorsioni cinesi a questo punto? Tra le opzioni possibili gli esperti citano forti limitazioni all’accesso di metalli da terre rare, controllati in gran parte proprio dalla Cina. La stessa Cina è il più grande consumatore al mondo di semiconduttori – oltre tre quarti delle vendite totali – mentre detiene una quota produttiva di solo il 15 per cento. Boston Consulting Group ha stimato l’anno scorso che per arrivare a costruire nel settore specifico una catena delle forniture completamente autonoma, un Paese deve investire subito ulteriori 1.000 miliardi di dollari. Le restrizioni americane, secondo gli esperti, rallenteranno fortemente lo sviluppo di applicazioni fondamentali nell’industria del futuro, come, ad esempio, l’intelligenza artificiale e la guida autonoma degli autoveicoli.