La Settimana Internazionale

Finlandia nella Nato e le nuove sfide per Putin nel Baltico

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di Attilio Geroni  

Voleva che la Nato ritirasse le sue truppe dai Paesi dell’Est di nuova adesione ripristinando la situazione ante-1997. Siccome però Vladimir Putin continua a essere un cattivo maestro di strategia militare, ha ottenuto non soltanto un secco «no», ma un risultato diametralmente opposto. Martedì 4 aprile la Finlandia è diventata ufficialmente il 31° Paese membro della Nato, mentre la Svezia resta in lista d’attesa.

Il Mar Baltico a questo punto è diventato un lago dell’Alleanza Atlantica accentuando l’isolamento di centri importanti per la Russia come San Pietroburgo e l’exclave di Kaliningrad. L’ingresso della Finlandia riveste un’importanza enorme perché il Paese condivide con la Russia una frontiera terrestre di 1.340 chilometri; perché ha il ricordo vivo dell’esperienza traumatica della Guerra d’Inverno, combattuta nel 1939-40 contro l’invasione sovietica; e perché, infine, questo ricordo vivo le ha fatto mantenere un livello di allerta e preparazione a un eventuale conflitto che pochi Stati europei possono vantare. In caso di guerra, la Finlandia può mobilitare un esercito professionale di 280mila effettivi e attingere a una riserva nazionale di 900mila persone. Mentre molti Paesi europei hanno abolito la leva obbligatoria dopo la fine della guerra fredda, Helsinki l’ha mantenuta, così come ha mantenuto un elevato livello di spesa militare. È una politica condivisa dall’opinione pubblica, e altrettanto condivisa dalla destra conservatrice fresca vincitrice delle elezioni.

La Nato accoglie un partner molto efficiente, che dispone inoltre del più importante arsenale d’artiglieria d’Europa (più di Francia e Germania messe assieme) e tra poco potenzierà la difesa aerea con l’arrivo dei 64 nuovi caccia F-35A ordinati alla Lockheed Martin. Come ha reagito lo stratega del Cremlino? Facendo annunciare il giorno prima dell’ingresso della Finlandia nella Nato un rafforzamento del dispositivo militare russo nei distretti occidentali e nord-occidentali. In realtà giorni prima c’era stata una reazione preventiva, ufficialmente motivata con la notizia che l’Ucraina avrebbe utilizzato armi con uranio impoverito, in realtà dettata da un’invasione dell’Ucraina che continua a non andare secondo i piani.

Le reazione preventiva è consistita nell’annuncio di Putin sul dispiegamento di arsenale nucleare tattico in Bielorussia e che questo arsenale potrebbe essere posizionato nella parte occidentale del Paese amico, a ridosso dei confini con la Nato. Una mezza sorpresa, in verità, poiché il dittatore di Minsk Aleksander Lukashenko aveva già cambiato un anno fa la Costituzione per permettere la “rinuclearizzazione” della Bielorussia. Non è escluso, inoltre, che Mosca intenda spostare lì anche alcune armi nucleari strategiche, cioè missili a lungo raggio con testate molto più potenti.

È certo una sua intenzione. La stessa che coltivava per l’Ucraina se fosse riuscito a conquistarla in pochi giorni mettendo al governo il Lukashenko del caso. Anche qui, però, si tratta di un calcolo pericoloso per lo stesso Putin. Non dimentichiamo come il popolo bielorusso – un popolo coraggioso – reagì alle elezioni farsa dell’agosto 2020.

Le analisi più superficiali fanno risalire all’umiliante ritirata americana dall’Afghanistan nell’agosto 2021 la decisione russa di invadere l’Ucraina. È invece più probabile che siano state le proteste di Minsk e la volontà popolare di affrancarsi dal protettorato di Mosca e dall’autarchia di Lukashenko a innervosire il Cremlino creando le basi per “l’operazione speciale” contro Kiev.

Putin non ha mai smesso di soffrire della sindrome da accerchiamento. È chiaro che l’obiettivo originario della sua guerra non era tanto la conquista del Donbass quanto l’arretramento della Nato dai Paesi dell’Est un tempo sotto la sfera d’influenza dell’Unione Sovietica. I presupposti per la smilitarizzazione dell’Alleanza Atlantica in questa parte d’Europa sono venuti a mancare grazie alla risposta militare ucraina all’aggressione.

Sul campo le cose continuano ad andare male per Mosca e ormai anche l’eventuale conquista di Bakhmut sarebbe una vittoria per la quale è stata pagato un altissimo tributo di sangue: la sua bandiera sventolerebbe su un cumulo di macerie e pile di morti tra i quali tantissimi soldati russi. Ancor più accerchiato di prima con l’ingresso della Finlandia nella Nato, e l’esercito impantanato in Ucraina, Putin sarà costretto sempre più spesso a ricorrere alla minaccia nucleare.