La Settimana Internazionale

I calcoli di Scholz dietro quei dubbi sui carri armati a Kiev

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di Attilio Geroni

L’Europa torna a dividersi sull’invio di carri armati tedeschi all’Ucraina. Lo fa secondo le linee ormai tradizionali del dissenso che vedono i Paesi dell’Est e del Nord, assieme agli Stati Uniti, premere per una massiccia fornitura di mezzi corazzati chiesta da Kiev per fronteggiare l’attesa offensiva di primavera dell’esercito russo. Altri sono invece più attendisti, temendo che questa scelta rappresenti un’escalation senza ritorno se non addirittura un allargamento del conflitto: un timore, va detto, ampiamente alimentato dalla retorica russa.

Tutto ruota attorno alla decisione della Germania, produttrice dei carri armati Leopard 2 ritenuti decisivi dall’Ucraina per contrastare l’avanzata degli equivalenti russi, i T-90, sul proprio territorio. Almeno una decina di Paesi europei li ha in dotazione ma per “girarli” a Kiev serve una licenza alla riesportazione da parte del Paese in cui questi tank sono stati prodotti. Il problema non è di facile soluzione poiché l’indecisione della Germania blocca sia i Paesi terzi sia se stessa come fornitore diretto. Bisogna precisare: siamo di fronte all’indecisione soprattutto del cancelliere Olaf Scholz e del suo partito, la SPD, poiché gli esponenti di governo dei Verdi e dei Liberali si sono già espressi a favore dell’invio dei Leopard 2.

Scholz, come spesso accade, è indecifrabile. Secondo gli ultimi sondaggi, il 46% dei tedeschi si dice favorevole alla fornitura dei carri armati all’Ucraina, il 43% è contrario. Non una maggioranza solidissima, dunque, per una decisione che potrebbe avere, secondo un’importante corrente di pensiero nei socialdemocratici, conseguenze imprevedibili sul piano militare e strategico.

È probabile che Berlino, soprattutto, non voglia compiere la prima mossa nonostante abbia tracciato un percorso di svolta epocale, la Zeitenwende, che ha visto aumentare le spese per la Difesa a livelli senza eguali dal dopoguerra e una profonda revisione delle linee guida di politica estera.

Il percorso, annunciato da Scholz il 27 febbraio 2022, ribadito in un discorso a Praga in agosto e con un ampio articolo in settembre su Foreign Affairs, si sta rivelando tortuoso. La Germania, per storia, posizione geografica e rilevanza geopolitica, è un po’ il simbolo dell’Europa travolta e frastornata dagli effetti dell’aggressione russa in Ucraina. Da un lato è uno dei Paesi che più ha aiutato in assoluto, sul piano umanitario e militare, l’Ucraina, condannando senza mezzi termini l’invasione di Mosca; dall’altro non rinuncia a tenere aperto un canale di dialogo con il Cremlino per evitare un ulteriore deterioramento del conflitto e creare a un certo punto le basi per l’avvio di colloqui tra i belligeranti per concordare almeno una tregua.

Quest’ultimo atteggiamento gli è valso le critiche dei Paesi dell’Est, Baltici e Polonia in prima fila, della stessa Ucraina, e una pressione senza precedenti degli Stati Uniti. Ma la politica tedesca sembra voler preservare i suoi ritmi e i suoi tempi, anche in questo periodo tumultuoso, nonostante sia consapevole del cambiamento da essa stessa innescato.

Del resto chi avrebbe immaginato, solo un anno fa, la tensione con la Russia già al culmine, che la Germania avrebbe rinunciato al nuovo gasdotto Nord Stream 2, fino a pochi mesi prima definito dall’allora cancelliera Angela Merkel un semplice «progetto economico»? E chi avrebbe immaginato che questo stesso Paese, che ancora porta sulle spalle il peso morale della II guerra mondiale, oggi avrebbe discusso l’invio o meno di carri armati in un Paese che confina con l’Unione europea?

In attesa che Scholz esprima una posizione chiara e univoca, il che potrebbe essere più facile data la disponibilità americana a inviare i propri tank Abrams, la svolta tedesca può sembrare un falso movimento. In realtà, il cancelliere non deve mediare solo dentro la coalizione più eterogenea che abbia governato la Germania del dopoguerra, ma tra l’Europa più riluttante ad aiutare l’Ucraina e quella che, in sintonia con gli Usa, non vuole dubbi nel sostegno militare a Kiev.