La Settimana Internazionale

Il sovranismo in salsa arancione che mette in allarme l’Europa

Scritto il

di Attilio Geroni

La vittoria in Olanda dello storico leader dell’estrema destra, Geert Wilders, è un’antologia di tutte le ragioni per le quali una parte sempre più importante dell’elettorato europeo continua ad allontanarsi dal modello delle democrazie liberali.

Magari non andrà al governo perché tra i seggi conquistati, 37, e la maggioranza necessaria, 76, c’è ancora un vuoto difficile se non impossibile da colmare. Proviamo però a immaginare che cosa comporterebbe per i già precari equilibri europei una sua presenza come premier ai Consigli Ue dove si dovrà decidere l’invio di nuovi aiuti all’Ucraina, la riforma del Patto di Stabilità o le modifiche istituzionali da apportare all’Unione in vista del prossimo round di allargamento.

Intanto un Geert Wilders capo di governo proporrebbe un referendum sulla permanenza dell’Olanda – tra i Paesi fondatori – nella Ue. Poi si opporrebbe all’invio di nuove armi all’Ucraina dando man forte al solito premier ungherese Viktor Orban rendendo ancora più disfunzionale l’Europa a Ventisette.

Infine, con lui sarebbe più difficile di quanto non sia ora una gestione coordinata dei flussi migratori. Il suo sogno è quello di chiudere la porta e su questo sogno ha costruito la vittoria personale e quella del partito, il Partito per la libertà (PVV) costringendo altre forze politiche, come il centro destra tradizionale VVD, dell’attuale premier Mark Rutte, a rincorrerlo su questa tematica. E come sempre succede in questi casi, gli elettori preferiscono l’originale.

Lo schema è sempre quello di Brexit, slogan compresi: riportare a casa quote importanti di sovranità nazionale sui temi che impattano direttamente sulla vita dei cittadini, a cominciare, appunto, dall’immigrazione. Wilders e i suoi hanno puntato anche sulla sicurezza, sulla crisi degli alloggi e in generale sul carovita, mentre sembra che si siano tatticamente ammorbiditi sulla questione islamica. In campagna il biondo leader populista non ha mai minacciato, come in passato, di voler mettere al bando il Corano e le moschee.

Questione di priorità, ha pensato e poi detto, ora bisogna affrontare le emergenze legate all’afflusso dei migranti (l’Olanda, 18 milioni di persone, è un Paese densamente popolato che l’anno scorso ha registrato un saldo di 220mila arrivi) e alla difficoltà di trovare alloggi decorosi a prezzi decorosi.

Nel suo tentativo di aggregare una maggioranza parlamentare, Wilders spera di contare sull’appoggio del Movimento Civico-Contadino (BBB), che ha conquistato sette seggi. Questa forza politica è nata nel 2019 su istanze di destra radicale e intorno alla protesta dei farmer olandesi quando il governo, per ottemperare alla sentenza di un tribunale sulla riduzione delle emissioni di azoto, voleva chiudere numerose aziende agricole.

Anche se non dovesse governare, già la vittoria di Wilders ha galvanizzato i colleghi di alcuni Paesi, da Matteo Salvini della Lega a Marine Le Pen del Rassemblement National (RN). La storica leader dell’estrema destra francese ha inoltre il vento in poppa nei sondaggi e il suo partito stacca di parecchi punti – 28 per cento contro 19 per cento – quello del presidente Emmanuel Macron, Rinascimento.

Qui cominciano a intravedersi i primi rischi in vista delle elezioni dell’Europarlamento del giugno prossimo. E se da un lato l’abilità politica e il cinismo del premier spagnolo Pedro Sanchez hanno scongiurato l’avvento di una coalizione tra Partito popolare (PP) e l’estrema destra di Vox, dall’altro ci sono sondaggi sempre preoccupanti che provengono dalla Germania.

Qui i nazional-populisti di Alternative fuer Deutschland (AfD) sono ormai da sei mesi il secondo partito del Paese con il 22% dei consensi: davanti a tutti e tre i partiti che compongono la coalizione di Governo (socialdemocratici, verdi e liberali) e dietro soltanto alla CDU/CSU. Inoltre AfD non è soltanto un fenomeno locale, di forte radicamento nei Laender orientali, ma una forza politica in grado di avere un’importante rappresentanza anche a Ovest: alle ultime elezioni in Assia è finita al secondo posto e in Baviera al terzo.

Il rischio lo ha ben sintetizzato Stéphane Sejourné, leader de Renew Europe, il gruppo centrista che all’Europarlamento, con 110 seggi, rappresenta attualmente l’ago della bilancia. Se la maggioranza europeista formata da Popolari, Socialisti & Democratici e Renew Europe dovesse ottenere meno del 50% dei seggi al voto del 6-9 giugno prossimi, allora la Ue potrebbe davvero trovarsi in una fase di paralisi istituzionale.

Le forze della destra radicale potrebbero costituire una minoranza di blocco nel momento in cui i Ventisette saranno chiamati a decidere il nuovo assetto istituzionale per permettere ulteriori allargamenti facendo leva sempre più spesso sul voto a maggioranza qualificata, ad esempio in politica estera.

Per fortuna in Polonia la vittoria non è andata agli ultraconservatori di Legge & Giustizia (PiS) e si aspetta il conferimento dell’incarico al capofila della coalizione di centro-sinistra, Donald Tusk, che ha i numeri per comporre una maggioranza parlamentare. L’incarico però tarda ad arrivare perché il presidente polacco Andrzej Duda, che appartiene al PiS, se la sta prendendo assai comoda. L’estrema destra quando va al potere sa come restarci a lungo e resistere anche quando è sconfitta.