La Settimana Internazionale

La “coercizione economica” Usa spaventa la Ue

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di Federico Bosco

La nuova era di competizione geopolitica tra potenze ha prodotto un glossario di termini che anno dopo anno è uscito dalle aule accademiche per diventare di uso comune. Ma c’è un termine di particolare rilevanza che negli ultimi tempi viene utilizzato con crescente disinvoltura: coercizione economica.

Nel vertice del G7 di Hiroshima sono state messe nero su bianco le preoccupazioni per l’aumento dell’utilizzo della «coercizione economica» da parte di alcuni Paesi, invitando tutte le nazioni «ad astenersi dal farne utilizzo». La Cina non è mai stata nominata, ma era chiaro a chi ci si rivolgeva, come è chiaro che è Washington a fare pressione affinché gli europei adottino una legislazione più restrittiva nei confronti delle relazioni economiche con Pechino.

Tuttavia, è suggestivo chiedersi se parlando di “coercizione economica” i leader europei non abbiano pensato anche agli Stati Uniti, dato il modo in cui la Casa Bianca dispiega la sua potenza economica contro avversari e concorrenti: sanzioni primarie e secondarie, dazi e tariffe, o misure in linea di principio neutrali ma che in realtà non lo sono affatto come lo stanziamento di sussidi riservati alla propria economia di fronte ai quali è impossibile competere.

La realtà è che ciò che i consiglieri economici del presidente Joe Biden e altri centri di potere statunitensi chiamano “arte di governo economica” fa parte di una dottrina strategica che ha molto a che fare con i metodi di “coercizione economica” a cui ci si riferisce quando si parla della Cina. Peter Harrell, ex consigliere di Biden, sostiene che una definizione oggettiva di coercizione economica dovrebbe includere anche «le sanzioni, i controlli sulle esportazioni e altre misure che Stati Uniti e alleati utilizzano da decenni».

Ma oltre a questo, Harrell ha fatto notare a Bloomberg che nel 2020 quando l’Unione europea stava discutendo per la prima volta di alcuni strumenti “anti-coercizione” che ora sta finalizzando, gli Stati Uniti facevano sicuramente parte dei calcoli di Bruxelles poiché all’epoca bisognava proteggersi dal modo in cui Donald Trump voleva imporre la sua volontà all’Europa, applicando dazi e tariffe.

Secondo altri esperti, l’uso della Casa Bianca di strumenti come i controlli sulle esportazioni e lo stanziamento di un piano di sussidi colossale come l’Inflation Reduction Act (IRA) va considerato “coercitivo”, in quanto strumento di pressione nei confronti degli alleati affinché seguano l’esempio del polo economico più potente allineandosi ai suoi obiettivi.

Il possibile ritorno di Trump alla Casa Bianca, e il fatto che il nazionalismo economico sia diventato una questione di consenso bipartisan tra Repubblicani e Democratici, sta mettendo l’Ue di fronte alla prospettive di una competizione (o guerra) commerciale con il suo principale alleato da combattere a suon di sussidi alle imprese.

Il problema è che anche in questo campo gli Stati Uniti hanno una “potenza di fuoco” soverchiante.

Per le imprese italiane la posta in gioco è altissima, per alcune una questione di sopravvivenza. Nel 2022 gli Stati Uniti sono diventati il secondo mercato di sbocco per l’export italiano dopo la Germania, superando la Francia. Questi tre Paesi rappresentano la destinazione di oltre il 30 per cento dell’export italiano, e una parte dell’import francese e tedesco dall’Italia è a sua volta legato alle esportazioni di quei Paesi verso gli Stati Uniti. Le principali voci dell’export italiano sul mercato statunitense sono macchinari, apparecchiature, autoveicoli e altri mezzi di trasporto. Settori che verrebbero coinvolti in una competizione commerciale transatlantica fatta di protezionismo e sussidi, con conseguenze su intere filiere.

La Commissione europea di Ursula von der Leyen finora non è stata in grado di offrire una risposta coerente all’angoscia competitiva dell’Ue innescata dall’IRA statunitense e dall’inflazione. Il compito, arduo, spetta alla prossima Commissione, che sarà scelta dopo l’esito delle elezioni europee di giugno 2024, qualche mese prima delle presidenziali statunitensi di novembre.

Contributi Ue alle imprese danneggiate dalla Brexit

Un contributo a fondo perduto del 100% fino a 200mila euro è ciò a cui possono aspirare tutte le imprese che abbiano subito un danno in conseguenza della Brexit. L’Agenzia per la Coesione Territoriale gestisce allo scopo un fondo di 112 milioni di euro provenienti dalla Riserva di Adeguamento alla Brexit (BAR), istituita dalla Commissione Europea. Lo sportello per richiedere l’aiuto è operativo e rimarrà aperto, salvo anticipato esaurimento dei fondi, fino alle ore 12 del 12 luglio 2023.

Come accedere ai fondi

La misura è rivolta sia a PMI che grandi imprese e prevede contributi a fondo perduto fino al 100% delle spese sostenute nei limiti del regolamento de minimis. Il rimborso delle spese va da un minimo di 10mila euro a un massimo di 200mila euro. Sono rendicontabili le spese sostenute a partire dal 1° gennaio 2020 e fino alla data di presentazione della domanda di finanziamento. Il beneficio è concesso in base all’ordine cronologico di presentazione delle domande, utilizzando la piattaforma raggiungibile sul sito

Quali danni sono rimborsabili

Sono ammissibili al contributo esclusivamente le spese inerenti a iniziative per le quali sia evidente un collegamento diretto con gli effetti discendenti dalla Brexit. In particolare, le imprese possono ottenere un contributo a copertura dei costi del personale connessi all’iniziativa, oltre che per le spese di viaggio quali biglietti aerei e treni, nonché per le spese di soggiorno quali assicurazioni di viaggio, vitto, soggiorni e visti. Rientrano anche i costi per consulenze e servizi esterni, i costi per l’acquisto di attrezzature, hardware e software, ma anche spese per infrastrutture. Sono ammissibili, infine, le spese generali d’ufficio e amministrative quali, ad esempio, canoni, utenze, forniture per ufficio, manutenzione e pulizie. L’inerenza delle spese all’iniziativa deve essere documentata all’interno della proposta.