La Settimana Internazionale

L’equilibrismo di Macron inciampa nel tappeto rosso di Xi Jinping

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di Attilio Geroni

Com’era prevedibile, l’esito della visita di Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen a Pechino, al cospetto del leader cinese Xi Jinping, ha creato confusione e malumore tra molti alleati europei, in particolare i Paesi dell’Europa Centro-orientale, e gli Stati Uniti.

Le parole sull’autonomia strategica che deve essere perseguita sia rispetto agli Usa sia rispetto alla Cina, l’intervista a “Politico” nella quale il presidente francese asserisce che non è nell’interesse dell’Unione europea diventare un semplice “follower” dell’America e che non è nel suo interesse immischiarsi in potenziali conflitti, con riferimento piuttosto esplicito a Taiwan, non hanno certo giovato alla coesione della Ue.

Il difetto maggiore di questa visita è che ha reso ancora più incomprensibile quale posizione l’Europa intende adottare nei confronti della Cina.

Sappiamo qualcosa attraverso una terminologia che rischia di essere fine a se stessa se non spiegata a fondo: i Ventisette non vogliono il decoupling, il disaccoppiamento dall’economia che gli Stati Uniti stanno mettendo in pratica nei confronti di Pechino. Cercano faticosamente di mettere in piedi un de-risking, una riduzione del rischio, che ancora non si è capito bene cosa sia rispetto al disaccoppiamento: per ora è la mezza consapevolezza che con la Cina i rapporti, anche economici, non potranno più essere quelli che sono stati nell’arco temporale compreso tra l’ingresso del gigante asiatico nella WTO e la prima metà inoltrata del secondo decennio (2015-2016).

Non sanno però – e la doppia visita Macron-von der Leyen ne è la testimonianza – come dare seguito a questa mezza consapevolezza senza cadere nelle contraddizioni. Prima del presidente francese era stato il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, a recarsi a Pechino, anch’egli accompagnato da una nutrita schiera di imprenditori e manager di multinazionali. In entrambi i casi, nonostante si sia ben consapevoli che le relazioni internazionali non sono fatte di carinerie e spesso sorvolano sui principi, l’effetto ottico non è stato dei migliori. Da un lato si chiede a Xi Jinping di intercedere presso Vladimir Putin per trovare una soluzione negoziale al conflitto in Ucraina; dall’altro si portano imprese a concludere contratti importanti nel più grande mercato del mondo. Sembra che la strategia tedesca del “Wandel durch Handel”, quella di indurre il cambiamento in regimi autoritari attraverso il rafforzamento della cooperazione economica e che si è rivelata controproducente con la Russia, venga perpetuato dai due più importanti Paesi nell’attesa di spiegare a sé stessi come ridurre il rischio.

In sé le parole di Macron non sono molto sorprendenti e fanno parte di un riflesso condizionato del Paese che si riassume nel mai sopito gollismo di ritorno. Il desiderio di affermare sé stessi e la propria indipendenza rispetto all’alleato tradizionale – gli Usa – che non per questo viene rimesso in discussione. Il problemi dell’uscita del presidente sono stati la tempistica e il luogo. Cercare per l’Europa – futuro terzo polo globale nei sogni di Macron, assieme a Cina e Stati Uniti – un’equidistanza da entrambe le grandi potenze mentre si è in visita ufficiale a Pechino, dà l’impressione di voler compiacere e blandire il leader di turno, in questo caso l’impenetrabile Xi. Ancora peggio se nella visita il padrone di casa, in nome del protocollo, utilizza un doppio standard riservando tappeti rossi e fiori e sei ore di colloquio al capo di Stato francese e un’accoglienza umiliante, invece, al capo della Commissione europea.

Infine, ma non di minore importanza, resta il concetto di autonomia strategica, tanto caro a Macron, che dovrebbe essere secondo lui il fine ultimo della politica estera europea. Su questo si può essere anche d’accordo, ma forse sarebbe stato meglio chiarire meglio questo concetto, che “galleggia” nella cancellerie europee da qualche anno. Chiarire, ad esempio, la tempistica e dare il dettaglio dei settori nei quali si intende raggiungere questa autonomia, al di là del semplice elenco dei settori cosiddetti strategici. Il punto di caduta di questa autonomia, perché sia davvero strategica, è ovviamente la Difesa; ma per raggiungere l’obiettivo di una difesa unica europea, il primo a sapere che ci vogliono molti anni, probabilmente una generazione, è Emmanuel Macron. E nel frattempo, con una guerra alle porte d’Europa e nella quale l’Ucraina resiste anche grazie al sostegno di forniture militari occidentali (soprattutto americane e decisamente meno francesi) come si gestisce il lungo interregno?

Non certo gettando nella confusione e nello scompiglio la già tentennante strategia europea nei confronti della Cina andando a casa sua a giocare tra poliziotto buono (Macron) e poliziotto cattivo (von der Leyen). Vi sembra che uno come Xi possa restare impressionato da questo vecchio gioco delle parti?