La Settimana Internazionale

Stati Uniti-Cina, dal pallone “impazzito” un assist per Biden

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di Attilio Geroni

È un momento difficile per la Casa Bianca. Nel giorno del discorso sullo Stato dell’Unione il presidente ha dovuto difendere il suo operato su molti fronti, non ultimo quello delle relazioni Stati Uniti-Cina, tese come non mai in seguito all’episodio del pallone spia di Pechino abbattuto nei cieli americani.

Non c’era bisogno di questa ulteriore degenerazione nei rapporti bilaterali con la seconda potenza economica mondiale, anche se molti analisti ritengono che l’episodio non farà precipitare ulteriormente la situazione. Certo, il clamore mediatico sull’episodio è stato assordante e ha rafforzato, nell’opinione pubblica americana e nella politica, l’idea che la Cina sia l’antagonista per eccellenza e che come tale venga trattata.

Era così con Trump, iniziatore della grande guerra commerciale e dell’ostracismo nei confronti di alcune big tech cinesi accusate di spionaggio industriale. Lo è ancora di più con Joe Biden, artefice di una misura durissima, quella che vieta la vendita a Pechino da parte delle aziende americane dei microchip di nuova generazione e delle componenti per realizzarle.

La versione ufficiale di Pechino sull’episodio è che si trattava di una sonda metereologica sfuggita al suo controllo, ma la spettacolarizzazione dei media americani, con la ripresa video in diretta dell’abbattimento, ha voluto mostrare a milioni di spettatori la tangibilità di certi rischi e minacce. La Cina ha parlato di reazione sproporzionata da parte dell’Amministrazione Usa e una prevista visita del segretario di Stato Antony Blinken, che avrebbe probabilmente incontrato anche il presidente Xi Jinping, è stata annullata.

Ciò non significa che in un futuro nemmeno troppo lontano la missione potrà essere nuovamente d’attualità. Del resto l’incontro di novembre tra Xi e Biden a Bali era stata una presa d’atto delle distanze ora siderali tra i due Paesi, ma anche che il mondo, da entrambi, si aspetta di più. La Cina si sta riprendendo dal forte rallentamento economico in seguito alla disastrosa strategia dello “zero Covid” e, accanto alle tensioni permanenti sulla questione di Taiwan, c’era anche un tentativo, da parte di Pechino, di riallacciare un dialogo ad alto livello.

Nonostante i ricorrenti discorsi di decoupling, di distacco tra le due più grandi economie mondiali, l’interdipendenza resta forte. Inoltre, la decisione americana sui microchip potrebbe tradursi per la Cina in un forte ritardo tecnologico nel momento in cui la crescita è lontana dai target di un tempo, così come sembra decisamente più lontano il famoso sorpasso del Pil cinese su quello americano.

È probabile che il clamore legato alla vicenda del pallone spia possa servire alla controparte americana per alzare la posta in future trattative economiche. Del resto Biden, che pensa di ricandidarsi alla presidenza, non può non tenere conto degli umori dell’opinione pubblica e dell’ormai maggioranza repubblicana alla Camera: non vuole abbandonare il dialogo con Pechino, ma sa che lo deve fare da una posizione di forza, tenendo alta la pressione.

Una linea non facile da tenere. Nel discorso sullo Stato dell’Unione i rapporti con la Cina hanno avuto uno spazio non secondario, assieme al sostegno militare incondizionato all’Ucraina aggredita dalla Russia, ma è soprattutto sui temi interni che Joe Biden ha difeso il suo operato, a partire dai quasi 2mila miliardi di dollari ai aiuti economici con il piano anti-Covid, da un mercato del lavoro che continua a creare occupazione e da un’inflazione che sembra aver finalmente toccato il picco, anche grazie all’aggressiva stretta monetaria della Federal Reserve: nonostante le tensioni internazionali e le molteplici crisi geopolitiche l’economia americana continua a mostrare un ottimo grado di resistenza ed elasticità.

Il tasso di popolarità del presidente non è altissimo e la sfida repubblicana, con o senza Trump, è già partita. Bisognerà vedere nei prossimi mesi come sarà percepita una ricandidatura di Biden. L’uomo che ha saputo difendere, a suon di migliaia di miliardi, il lavoro e il potere d’acquisto degli americani? Oppure l’uomo della conservazione, incapace di entusiasmare e trascinare gli elettori?