La Settimana Internazionale

UE: torna il protezionismo

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 a cura di Attilio Geroni

Anche se il presidente francese Emmanuel Macron ha strappato qualche promessa politica di «misure correttive» in occasione della sua recente visita alla Casa Bianca, non si sa mai: meglio cautelarsi. Così Ursula von der Leyen lancia l’idea di una revisione delle regole europee sugli aiuti di Stato per competere con il piano americano conosciuto con l’acronimo di IRA (Inflation Reduction Act) che contempla tra le altre cose incentivi in campo energetico per 386 miliardi di dollari.

Uno sforzo senza precedenti, da parte dell’amministrazione Usa, riservato alle energie rinnovabili e alla contestuale riduzione delle emissioni di CO2 che preoccupa non poco le aziende europee impegnate in una difficile e costosa transizione verso le rinnovabili.

Macron ne ha fatto un punto essenziale nei suoi colloqui a Washington con l’omologo Joe Biden, e la sua missione è stata preceduta da lamentele europee, più o meno ufficiali, nei confronti di un’America che sta approfittando di una guerra alle porte dell’Unione per vendere energia a caro prezzo ai partner e dotare la propria industria di incentivi generosi per vincere la competizione globale nelle rinnovabili e nella mobilità elettrica.

Gli aiuti arrivano in larga parte sotto forma di crediti d’imposta per rendere i processi produttivi più puliti, incentivare la produzione e l’acquisto di auto elettriche, di migliorare l’efficienza energetica degli edifici residenziali, degli uffici e delle fabbriche e sviluppare il nucleare di nuova generazione, fotovoltaico, eolico, idrogeno, nonché cattura e stoccaggio di CO2.

La componente energetica è solo una parte del piano (ve ne sono altre due: una revisione della fiscalità e aiuti al settore sanitario) ma è quella che interessa direttamente le imprese europee, che hanno il timore fondato di una concorrenza sleale da parte di aziende americane ampiamente sussidiate dallo Stato federale.

L’Unione europea sta in qualche modo cercando di ridurre l’impatto potenzialmente negativo e alla fine di ottobre ha creato una task force congiunta con l’amministrazione Usa guidata dal capo di Gabinetto di Ursula von der Leyen, Bjoern Seibert, e dal vice consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Mike Pyle.

Da Biden sono giunte rassicurazioni a Macron, per la verità piuttosto vaghe, di misure correttive sulle quali «si potrà lavorare con i nostri partner europei», ma è chiaro che a Bruxelles e in altre capitali Ue la fiducia è relativa. Ora bisognerà vedere che seguito avranno le parole di von der Leyen e soprattutto quali opzioni saranno scelte.

Si possono rivedere le regole sospensive degli aiuti di Stato, ma si possono anche prefigurare finanziamenti, sia dirottando parte delle risorse del fondo già esistente, RePowerEU, sia dando vita a un’idea già contemplata dal discorso sullo stato dell’Unione della presidente della Commissione, cioè la creazione di un Fondo per la Sovranità Europea.

Sia da parte americana sia da parte europea si tratta di tipiche posture figlie della crisi, geopolitica ed economica, dove assieme alla cooperazione e alla solidarietà (sostegno all’Ucraina) assistiamo a tendenze sempre più frequenti di protezionismo e volontà di accrescere e preservare gli interessi nazionali (il piano energetico da 200 miliardi della Germania può essere un altro esempio).

Per l’America fa parte del più ampio piano di restare l’avanguardia globale delle nuove tecnologie, comprese quelle energetiche, tenendo a debita distanza la Cina, come insegnano i nuovi provvedimenti che vietano l’export di microchip più avanzati e componenti per realizzarli verso Pechino o aziende che lavorano con i cinesi.

Per la Ue, si tratta di trovare il giusto equilibrio tra il rischio di ridursi a una fortezza commerciale e la coerenza da dare al mantra della sovranità europea dopo che la crisi pandemica e l’invasione russa in Ucraina hanno messo ancora una volta in evidenza le debolezze costitutive e le contraddizioni dell’Unione.