La Settimana Politica

25 aprile e 1° maggio, festeggiare guardando al futuro

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di Silvio Magnozzi

Passato il 25 aprile, giornata della Liberazione dal nazifascismo, sarà la volta del 1 maggio, festa dei lavoratori. Fra tutti i simboli laici fissati in rosso sul nostro calendario, queste due date rappresentano le più evocative. La prima perché segna la fine definitiva della dittatura in Italia, la seconda perché si lega al lavoro, cardine della nostra Costituzione repubblicana e di ogni progettualità di vita e di realizzazione di sé.

Significati che dovrebbero fare di queste due giornate una celebrazione, oltreché di ciò che è accaduto nel passato, anche della concordia nazionale del presente, in un’Italia democratica e unita.

E invece no. Ogni volta che nel nostro Paese la destra, anzi il centrodestra, sale al governo, ecco che soprattutto sulla prima data, il 25 aprile, scoppiano polemiche stantie.

È accaduto anche quest’anno con molti esponenti della sinistra e del Partito democratico (e buona parte della stampa progressista) concentrati nel chiedere a Fratelli d’Italia, il partito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e di maggioranza relativa, le analisi del sangue sull’antifascismo.

Basta, questa è retorica, non un modo di omaggiare la Liberazione.

La Meloni, sull’argomento, il 25 aprile ha scritto una lettera al “Corriere della Sera” dove ha ben spiegato che «i partiti che rappresentano la destra in Parlamento hanno dichiarato la loro incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo» e che questo giorno deve essere «un momento di ritrovata concordia nazionale nel quale la celebrazione della nostra ritrovata libertà ci aiuti a comprendere e rafforzare il ruolo dell’Italia nel mondo come imprescindibile baluardo di democrazia».

A una parte delle opposizioni non è bastata neppure questa lettera e francamente nel 2023 tenere la nostra democrazia, matura e plurale, appesa a un dibattito da Anni Venti sul fascismo non ha un gran senso. Siamo una democrazia piena, dove si alternano al potere – grazie al voto degli italiani – proposte politiche concorrenti. Punto. E la Liberazione è il simbolo che celebra questa nostra democrazia, ritrovata con la fine del fascismo.

Se dal 25 aprile passiamo al 1 maggio, vediamo che cambia il tema ma che anche sulla festa dei lavoratori una parte dell’Italia politica e sindacale sembra guardare più al passato che al presente e al futuro. Oggi c’è bisogno di trovare tutele per i giovani che entrano nel mondo dei lavori, consentiteci questo vezzo al plurale, un universo sempre più complesso e articolato dove il modello lineare del passato, contratto-assunzione-stipendio-previdenza, non è più sufficiente perché il contratto non è mai per sempre, lo stipendio neppure, la previdenza e la sua sostenibilità per le pensioni delle nuove generazioni rischia di essere assai povera se non misera.

Se non si riparte dalla realtà, trovando nuovi strumenti di riconoscimento dei meriti, di stipendi più alti, di tasse sul lavoro ridotte a dipendenti e imprese, di aggiornamento sul settore tecnologico costante, ebbene il 1 maggio diventa una festa retorica e non di sostanza. Un viaggio nel passato e non nel futuro. E questo è un peccato perché festeggiare il lavoro è cosa buona e giusta, che ha quel buon sapore della libertà.