La Settimana Politica

Addio a Giorgio Napolitano, il presidente “comunista” che amava l’Europa

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Europeista, riformista: sono i due aggettivi che in queste ore primeggiano senza rivali negli omaggi, giornalistici e non, al Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano scomparso a 98 anni nella serata di venerdì 22 settembre dopo un improvviso peggioramento delle condizioni di salute che da tempo lo avevano costretto al ricovero presso la clinica romana “Stupor Mundi”.

Palazzo Chigi ha disposto i funerali di Stato e il giorno delle esequie sarà lutto nazionale. Bandiere a mezz’asta in tutti gli edifici pubblici, domenica la camera ardente in Senato dove il mondo politico e tutti i cittadini potranno rendere l’ultimo omaggio al “primo comunista” a diventare Capo dello Stato nella storia della Repubblica.

E da numerose prime volte è stata contrassegnata la vicenda umana e politica di Napolitano: primo dirigente del Pci ad ottenere il visto per entrare negli Usa, primo esponente del comunismo italiano a diventare Presidente – appunto – primo Presidente a venire eletto per un doppio mandato (dopo quello del 2006, il bis nel 2013), in questo oggi eguagliato da Sergio Mattarella, che ha ricordato così il suo predecessore nella nota ufficiale diffusa dal Quirinale: “Eletto alle più alte magistrature dello Stato, presidente della Camera dei deputati, senatore a vita, Presidente della Repubblica per due mandati”, Napolitanoha interpretato con fedeltà alla Costituzione e acuta intelligenza il ruolo di garante dei valori della nostra comunità, con sentita attenzione alle istanze di rinnovamento presenti nella società”.

Votato alla causa dei lavoratori, inesauribile – ha sottolineato Mattarella – fu la sua azione per combattere la spirale delle morti sul lavoro. La sua morte mi addolora profondamente e, mentre esprimo alla sua memoria i sentimenti più intensi di gratitudine della Repubblica, rivolgo ai familiari il cordoglio dell’intera nazione”.

Con Mattarella tutta la politica nazionale ha espresso il proprio cordoglio per la morte di Giorgio Napolitano: dalla premier Giorgia Meloni all’ex presidente del consiglio Mario Draghi, dal presidente del Senato Ignazio La Russa al ministro degli Esteri Antonio Tajani passando per i segretari dei principali partiti d’opposizione, Schlein (Pd), Conte (5Stelle), Renzi (Italia Viva) e Calenda (Azione). Oltre confine i primi a esprimere dolore e condoglianze sono stati il presidente francese Emmanuel Macron e il Segretario di Stato Usa Antony Blinken. Anche il mondo sindacale e antifascista ha ricordato la figura del presidente emerito con dei post su X, rimarcandone la figura rilevante della democrazia, vicina al mondo dei lavoratori e dei più deboli. “Sempre vicino ai bisogni della gente comune” ha detto infatti anche Papa Francesco.

Tra i momenti fondativi della storia personale e politica dell’ex presidente molti individuano due passaggi ben precisi: il dietrofront sull’invasione sovietica di Praga che all’epoca lo vide convinto sostenitore dell’azione militare dell’Urss (trent’anni dopo, e dopo l’intervento russo in Afghanistan, convenne: “Fu una tragedia”) e il durissimo discorso del 23 aprile 2013 in occasione dell’insediamento per il secondo mandato, accettato “obtorto collo” per l’impossibilità del parlamento – squassato in quegli anni da una crisi politica ed economia di fatto senza precedenti – di trovare un accordo sul nome di quello che sarebbe dovuto essere il suo successore.

Napolitano non solo divenne (con 738 voti su 997 votanti) il primo presidente a bissare il mandato, ma divenne anche il più anziano ad essere eletto (87 anni).

La cerimonia di insediamento fu più breve rispetto alla precedente. “Non mi sono sottratto a questa prova ma sapendo che quanto accaduto qui nei giorni scorsi ha rappresentato il punto di arrivo di una serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità disse Napolitano, che criticò apertamente le “contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi” e puntò il dito contro il “populismo che con facilità (ma anche con molta leggerezza)” cavalcava l’insoddisfazione degli italiani e la protesta antipolitica, “alimentate e ingigantite da campagne di opinione demolitorie, da rappresentazioni unilaterali e indiscriminate in senso distruttivo del mondo dei politici, delle organizzazioni e delle istituzioni”.

Il 23 aprile il presidente aprì le consultazioni di rito per la formazione del nuovo governo; il giorno successivo affidò l’incarico all’allora segretario Pd Enrico Letta di formare un proprio esecutivo, ritenuto il primo “governo di larghe intese” nella storia repubblicana.

Un’altra prima volta di Napolitano, la cui storia politica, come egli stesso scrisse, “non è rimasta eguale al punto di partenza, ma è passata attraverso decisive evoluzioni della realtà internazionale e nazionale e attraverso personali, profonde, dichiarate revisioni”.