La Settimana Politica

Gli sforzi italiani per la ripresa e lo spauracchio dell’Europa

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di Pasquale Napolitano

Meno Stato, più mercato. Meno sussidi, più incentivi alle imprese per le assunzioni: il governo Meloni con l’ultimo Def tratteggia l’identikit della politica economica che caratterizzerà i prossimi anni. In Parlamento la legge delega per la riforma fiscale muove i primi passi.

Il testo è stato incardinato in commissione Finanze alle Camera.

Tra le prime novità spunta l’ipotesi della cancellazione del superbollo per le auto sportive e di lusso: una battaglia del centrodestra che potrebbe tramutarsi in uno dei primi provvedimenti fiscali targati Meloni. Sull’addio al superbollo sono d’accordo sia il viceministro delle Finanze Maurizio Leo sia il sottosegretario Federico Freni.

Fonti della maggioranza spiegano al Settimanale come la misura serva anche a dare impulso a un settore, quello delle auto sportive e di lusso, in sofferenza.

L’altra grande misura contenuta nel Def è il taglio del cuneo fiscale: entro la fine di aprile potrebbero arrivare in busta paga gli aumenti determinati da questa operazione. Per l’anno in corso, il Def ha provveduto a mettere a disposizione qualcosa come 3,4 miliardi di euro proprio per ridurre gli oneri a carico dei lavoratori; 4,5 miliardi di euro, invece, saranno destinati nel 2024 per il fondo creato per la riduzione della pressione fiscale.

Il beneficio direttamente in busta paga dovrebbe partire già dal mese di maggio e concludersi nel corso del mese di dicembre. La riduzione del cuneo fiscale, in questo modo, salirebbe al 4% per i redditi fino a 25mila euro e del 3% per quelli compresi tra i 25mila e i 35mila euro.

Gli oltre tre miliardi di euro, che sono stati destinati a rafforzare il taglio del cuneo fiscale, secondo la Banca d’Italia, permetterebbero un aumento del reddito disponibile poco inferiore ai 200 euro ogni anno.

La rotta è tracciata. Nonostante qualche tentennamento sul Reddito di cittadinanza, che il governo Meloni non ha voluto del tutto abolire.

L’idea è di procedere a un abbassamento della pressione fiscale per le imprese da un lato, riduzione legata alla creazione di nuovi posti di lavoro, e all’aumento dei redditi per le famiglie in modo da incentivare la domanda. Una doppia combinazione per rimettere in moto l’economia i cui indici sono già in lento miglioramento.

Lo sguardo è però anche a ciò che accade in Europa. E sono due le decisioni che da lì avranno riflessi in Italia: le manovre della Bce sul rialzo dei tassi d’interessi e la riforma del patto di stabilità.

Nel corso dell’ultima riunione, la maggioranza dei membri del consiglio direttivo della Bce si è dichiarata d’accordo con la proposta del capoeconomista Philip Lane di aumentare i tassi di interesse di 50 punti base, in linea con l’intenzione comunicata nella riunione precedente. Fino a quando l’inflazione non tenderà ad assestarsi su livelli bassi dalla Bce non è previsto alcun passo verso la discesa dei tassi d’interesse.

Una linea che rischia di neutralizzare le politiche economiche del governo italiano. Fino ad azzerarle. E dunque la partita chiave si gioca a Francoforte dove l’Italia parte da una posizione di svantaggio rispetto alla Germania.