La Settimana Politica

La signora G e un 2023 partito col turbo

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di Silvio Magnozzi

G come gennaio ma anche G come Giorgia. Giorgia ovviamente è lei, la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni che ha cominciato il 2023 in quarta. Nei giorni scorsi, a Roma, la Meloni ha incontrato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

Un incontro denso di significati politici, per almeno tre ragioni. La prima: con l’inchiesta Qatargate i socialisti al Parlamento europeo stanno subendo un duro colpo, che tra le sue conseguenze potrebbe portare ad un indebolimento dello storico bipolarismo in Ue con i popolari, fatto nel tempo di contrasti ma pure di convergenze.

Queste due forze politiche da anni sono infatti le protagoniste sulla scena europea e la destra, nel Parlamento Ue, ha sempre avuto un ruolo marginale.

La Meloni, cresciuta a pane e politica, l’ha intuito e nei primi giorni del nuovo anno ha incontrato un esponente di rilievo del Partito popolare europeo, il tedesco Manfred Weber. L’obbiettivo è quello di far entrare in gioco, approfittando della crisi dei socialisti, la destra nel Parlamento Ue, destra che finora ha inciso poco nelle scelte che contano.

Dopo l’incontro con Weber è stata la volta della von der Leyen, e qui aggiungiamo la seconda ragione della nostra analisi.

Nel colloquio tra la Meloni e la presidente della Commissione europea i temi sul tavolo erano tanti, dall’immigrazione (con l’Italia che spinge per un nuovo patto europeo che allenti il peso degli sbarchi sulle nazioni affacciate sul Mediterraneo, Italia in primis, e punti di più sulla redistribuzione negli altri Paesi Ue) al Pnrr per l’economia fino alla guerra in Ucraina ed al sostegno (convinto) dell’Italia al presidente Zelensky ed al suo popolo contro l’invasione russa.

Sostanza dunque e non forma, il che dimostra come Giorgia Meloni abbia compreso che per cambiare alcune scelte dell’Ue la via migliore è la diplomazia (unita alla politica) e non il braccio di ferro che troppo spesso è stato un boomerang per la destra stessa. La terza ragione riguarda l’orizzonte del governo e della sua maggioranza di centrodestra, Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, orizzonte che è quello di durare tutta la legislatura.

Per farlo, considerato che i problemi non mancano, dal carovita alle bollette, dall’inflazione alle riforme promesse e ancora da fare, un ingrediente indispensabile sarà la compattezza tra gli alleati ma anche l’intelligenza (o la furbizia, se preferite) di non aprire troppi fronti critici. La Meloni può trovare, nel recente passato politico italiano, una diapositiva utile cui guardare per capire ciò che il suo governo non deve fare. E questa diapositiva è l’esperienza dell’esecutivo Lega e 5 Stelle che ad un certo punto della sua esistenza si è trovato con una marea di avversari da contrastare, per errori fatti, ingenuità o scelte sbagliate.

Quella diapositiva assieme ad un’altra, la gestione proficua messa in campo da Mario Draghi nel suo periodo da presidente del Consiglio, sono le due fotografie che Meloni deve tenere sulla propria scrivania. Un memento su ciò che non si deve fare, e sul fatto – guardando a Draghi – che il fare in politica vale più del chiacchierare. L’agenda delle scelte, ovviamente, dovrà essere quella della Meloni e del suo governo perché su quelle gli elettori giudicheranno.

Un giudizio che più che nelle regionali di febbraio in Lombardia e nel Lazio troverà il suo primo vero test alle elezioni del 2024 per il Parlamento europeo.