La Settimana Politica

Le tre parole su cui si gioca la sfida europea dell’Italia

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di Silvio Magnozzi

Tre parole: Mes, Pnrr e Patto. Cominciamo dall’ultima, che sta ovviamente per Patto di stabilità europeo.

Si discute molto in queste ore in Italia e a Bruxelles della sua riforma, a cui lavorano diversi tavoli tecnici per trovare un’intesa fra i 27 Paesi Ue. Il governo italiano, che le opposizioni e una buona parte della stampa definiscono alle strette su Mes, Patto e Pnrr, in realtà sta facendo quello che deve fare: discutere con l’Ue e quindi con gli altri Paesi membri una riforma che sia nell’interesse degli italiani e degli europei.

Il rischio infatti, che poi è anche il limite dell’ideologia applicata al concetto di europeismo, è che dopo la pandemia l’Ue torni al suo rigore precedente, facendo a quel punto non gli interessi degli europei ma di una parte di loro, e assai poco degli italiani.

Di recente il ministro leghista dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, in un’intervista a “Il Sole 24 Ore”(il quotidiano di Confindustria) ha spiegato la posizione del governo Meloni sulla riforma del Patto di stabilità: «Penso – ha detto – che spazi di trattativa ci siano perché la richiesta di un trattamento diversificato per gli investimenti ha una ragione logica inoppugnabile. Se la spesa in conto capitale per la transizione energetica e digitale crea sviluppo (..) e se fra gli obiettivi del Patto di stabilità e crescita c’è appunto anche la crescita, è logico che le regole fiscali europee trattino questi investimenti in modo diverso da quello che si può applicare a voci meno produttive come per esempio il pubblico impiego o le pensioni».

Considerazioni che indicano la chiara linea italiana: negoziare con razionalità ed equilibrio la riforma del Patto. Una linea cui vanno aggiunte le parole del ministro della Difesa Guido Crosetto, che sulle spese militari in tempi di guerra all’Ucraina (e del sacrosanto sostegno economico italiano, europeo e occidentale a Kiev), ha avvertito Bruxelles: «Non escludere dai vincoli di bilancio le spese per gli aiuti all’Ucraina è il segno di una miopia della Ue» che non comprende come «alcune spese, ad esempio la Difesa in epoca di guerra, andrebbero scorporate dai vincoli così stringenti del patto di Stabilità. Quanto ai rapporti intra-europei, in un consesso di 27 Paesi è giusto confrontarsi. Nessuno detiene la verità assoluta e avere un’altra idea non vuol dire isolarsi, ma far crescere l’Unione».

Sul tavolo europeo, per tornare alle tre parole elencate all’inizio di quest’articolo, non c’è soltanto il Patto di stabilità e la sua riforma ma ci sono anche il Mes e il Pnrr.

Sul secondo il governo italiano sta lavorando sodo per rivedere alcuni progetti. Si tratta di una modalità logica e persino fisiologica visto che pure la Francia, soltanto pochi giorni fa, in aprile, ha presentato le sue richieste su alcuni punti del Pnrr da cambiare (e in Francia il governo attuale è in carica da maggio, mentre in Italia quello della Meloni governa da metà ottobre). Anche sul Pnrr andrebbero evitati, da parte delle opposizioni, i ritratti sulla solita Italia in ritardo. Sarebbe una cosa saggia considerando che la sfida europea ci riguarda tutti. Terza e ultima parola il Mes: su questo le pressioni perché l’Italia dica sì stanno salendo, il che non significa andare nel panico ma magari usare pure la leva del Mes, a livello negoziale, per ottenere risultanti importanti per il Paese, ad esempio sulla riforma del Patto di stabilità. Ultimo aspetto, di questa partita in Europa, le alleanze. Perché è evidente che in un contesto a 27 Stati alcuni risultati son più facili da ottenere se su di essi convergono altri Paesi assieme all’Italia. Sul Patto di stabilità e sulle spese da lasciare fuori dai suoi vincoli una convergenza possibile potrebbe essere quella con la Francia di Macron e con la Spagna di Sanchez. Vedremo nelle prossime settimane se e come questo avverrà. In fondo la partita in Europa è appena incominciata.