La Settimana Politica

Migranti: lo stato di emergenza in Italia è un messaggio per la UE

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di Silvio Magnozzi

Il governo Meloni ha decretato lo stato di emergenza nazionale per l’immigrazione in Italia. È vero, da diversi anni a questa parte, l’emergenza è diventata un’opzione sempre più frequente della politica per affrontare i problemi, basti vedere il Covid o quanti chiedono oggi uno stato di emergenza per il clima. Ma è anche un chiaro sintomo di crisi delle democrazie occidentali perché prevede un’eccezione alla normalità.

Anche (ma non solo) per queste ragioni proviamo a scandagliare la scelta del governo italiano sull’immigrazione che prevede un commissario straordinario, lo stato di emergenza nazionale e la stretta sulle protezioni umanitarie.

Si tratta di tre aspetti che puntano a cercare di contenere l’ondata degli sbarchi sulle coste italiane mai così massiccia e intensa come in questi ultimi mesi (e il caldo e l’estate devono ancora arrivare).

Secondo alcune stime degli apparati di sicurezza, entro la fine dell’anno potrebbero arrivare circa 300mila persone in Italia. La crisi della Tunisia, l’instabilità della Libia, le rotte dalla Turchia rappresentano punti di partenza di migliaia e migliaia di persone che guardano all’Italia come approdo d’Europa in cerca di una vita migliore.

E qui emerge il primo rilievo all’Unione europea: non dovrebbe essere l’Italia a proclamare l’immigrazione una emergenza bensì l’Europa perché i migranti guardano, per un futuro migliore, al Vecchio Continente di cui il nostro Paese è la frontiera, il confine meridionale nel Mediterraneo. Sei mesi di emergenza in Italia – con uno stanziamento iniziale di 5 milioni di euro che arriveranno a 20 – con tutta la buona volontà del governo Meloni non risolvono la questione immigrazione, tutt’al più – come dicevamo – cercano di contenerla. Ma soprattutto segnalano all’Unione europea, che tanto guarda ai conti italiani, che c’è un’emergenza che riguarda uomini e donne e non dei parametri. Ecco, se l’emergenza italiana servisse a svegliare l’Ue sull’immigrazione togliendola dalle pigrizie cui la legano diversi Stati non mediterranei, soprattutto del Nord, sarebbe un successo politico. Vedremo.

Intanto, oltre alla lentezza Ue vi è un’altra questione di politica internazionale che va affrontata sul tema immigrazione. E riguarda la Tunisia, Paese da cui salpa verso l’Italia una gran parte dei migranti. Il Paese nordafricano sta attraversando una crisi politica e economica profonde e avrebbe bisogno urgente del sostegno occidentale, a cominciare dalla sblocco del prestito da 1,9 miliardi di euro del Fondo monetario internazionale, ancora fermo perché l’Occidente, in particolare gli Stati Uniti, chiedono riforme a Tunisi. Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha riferito di recente al segretario di Stato Usa, Antony Blinken, le preoccupazioni per una Tunisia in crisi e per la massiccia immigrazione, chiedendo almeno l’erogazione di una tranche del prestito al Paese africano; ma gli Stati Uniti sembrano ancora non fidarsi del presidente tunisino, Kais Saied. A Washington dovrebbero tenere conto, però, che in tempi così complicati, con la guerra russa in Ucraina e le tensioni con la Cina crescenti, un Mediterraneo instabile per una pressione migratoria potente e per le crisi di Paesi nordafricani come Tunisia e Libia (dove le tensioni durano da anni) non è affatto un elemento di stabilità geopolitica. Anzi. Intanto il tempo passa e l’emergenza immigrazione continua, con l’Italia che si trova da sola (o quasi) ad affrontarla.