La Settimana Politica

Quando vincere nello sport diventa motore di ottimismo

Scritto il

di Silvio Magnozzi

 1938-1982. Quarantaquattro anni di distanza. 1976-2023. Quarantasette anni di distanza.

Il primo differenziale segna quanto tempo ha impiegato la nazionale italiana di calcio a vincere il suo terzo mondiale dopo aver conquistato il secondo. La seconda distanza misura invece il tempo che la nazionale italiana di tennis ha impiegato per aggiudicarsi la seconda Coppa Davis, dopo la prima conquistata nel secolo scorso.

Anni e anni, tempi lunghi e segnati, nei loro intermezzi, da attese, illusioni e delusioni.

Perché fare un parallelo fra i due intermezzi, però, il calcio da una parte e il tennis dall’altra oggi che l’Italtennis con Jannik Sinner e gli altri moschettieri della racchetta è tornata ad alzare l’insalatiera della vittoria?

La ragione è semplice, economica, sociale e di costume assieme. Perché nel 1982 quella vittoria calcistica rappresentò qualcosa di più di una vittoria sportiva per il Belpaese. Incarnò infatti una ritrovata idea di unità nazionale, in una nazione che usciva faticando dagli anni tetri e violenti del terrorismo per ritrovare nuova fiducia in sé stessa.

Rappresentò, quel trionfo calcistico, un motore per una ritrovata idea di comunità nazionale ma anche un impulso all’ottimismo e alla crescita economica che negli anni Ottanta porterà a quello che alcuni definirono il nuovo boom italiano.

L’ottimismo infatti, anche se scaturisce da una vittoria sportiva, è da sempre ingrediente necessario ad una società per credere in sé stessa e nelle proprie potenzialità. Cosa ha prodotto quella vittoria mondiale nel pallone, ottenuta superando squadre fortissime come la Germania, il Brasile e l’Argentina di un giovane (all’epoca) Diego Maradona, lo sappiamo.

La domanda è: la vittoria nella Davis di tennis può portare oggi ad uno stesso effetto sul nostro Paese, ottimismo e fiducia in sé, in un momento complicato con guerre sparse per il mondo, dall’Ucraina al Medio Oriente, e dopo gli anni duri del Covid?

Non ci sono certezze ma delle similitudini si vedono. Eccome.

  • La prima: nessuno all’inizio della avventura in Davis avrebbe scommesso sul trionfo dell’Italia.
  • La seconda: la vittoria è arrivata superando squadre molto forti, come la Serbia del numero 1 del tennis mondiale, Novak Djokovic.
  • La terza: la corsa della squadra azzurra di tennis in Davis è stata accompagnata da un crescente entusiasmo del pubblico italiano, con una partecipazione di felicità (e non solo davanti agli schermi televisivi dove si trasmettevano le partite) assai simile all’entusiasmo che suscitò nel 1982 l’avventura mondiale della nazionale italiana di calcio in Spagna.
  • La quarta: la Spagna appunto. Come i Mondiali di pallone del 1982 si giocarono in Spagna così oggi la Coppa Davis di tennis si è disputata in Spagna.

Coincidenze? Sarebbe troppo banale liquidarle così perché in una società democratica ed evoluta come la nostra lo sport rappresenta qualcosa di più dello sport e basta. È un collante popolare in un’epoca liquida, dove le identità nazionali si fanno sempre più rarefatte e dove la coesione sociale è sempre più rara e complicata (quando c’è).

E siccome ogni epoca e ogni trionfo ha i suoi eroi, se nel 1982 fu un Paolo Rossi ritrovato il simbolo di un’impresa sportiva, oggi quel simbolo nel mondo della racchetta è il giovane Jannik Sinner.

Retorica? No, perché se c’è un mondo dove la retorica non pesa ma dove contano i risultati quello è il mondo dello sport, fatto di agonismo e di talento sul campo. Non di parole.