La Settimana Politica

Stretta sui clandestini: Centri di permanenza “blindati”

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Innalzato a 18 mesi il periodo in cui i migranti possono essere trattenuti nei Centri di permanenza per i rimpatri, il limite massimo consentito dalla normativa europea (restano invece 12 mesi per i richiedenti asilo): si partirà prima con 6 mesi estendibili per altri 12 fino a raggiungere il nuovo limite di un anno e mezzo.

Raddoppio dei Centri affidato al ministero della Difesa e al Genio Militare con la creazione di una struttura per ogni regione (oggi sono 10 in tutta Italia e molti in condizioni disastrose), saranno “in località a bassissima densità abitativa e facilmente perimetrabili e sorvegliabili” e, affermano dal governo, “non si creerà ulteriore disagio e insicurezza nelle città”.

Sarà un successivo Consiglio dei ministri ad affrontare la questione dei minori non accompagnati: «Il nostro obiettivo è tutelare i veri minori per evitare, come accade ora, che con una semplice autocertificazione chiunque possa essere inserito nei circuiti rivolti a loro», ha sottolineato la premier Giorgia Meloni.

Sono le principali misure straordinarie adottate dal Consiglio dei Ministri di lunedì 18 settembre per fronteggiare l’emergenza migranti di queste settimane e che probabilmente verranno inserite in un emendamento al decreto Caivano già approdato in Senato.

Un modo per accelerare i tempi per l’approvazione in Parlamento, nonostante la netta contrarietà delle opposizioni e dei sindaci che denunciano il collasso dei propri comuni.

La stretta, ha commentato la premier, è una «conferma che, su questi temi, come su tantissimi altri, tutto il centrodestra ha la stessa visione e che tutti lavorano nella stessa direzione, a dispetto di quello che si legge e si tenta di raccontare in questi giorni.

Desidero esprimere grande soddisfazione – ha aggiunto – per la compattezza e per il grande lavoro di squadra di tutto il Governo».

I numeri sono drammatici: quasi 130mila persone sono sbarcate in Italia nei primi mesi di quest’anno, l’89% in più rispetto allo stesso periodo del 2022. Perlopiù, dati Viminale, migranti economici provenienti in special modo da Tunisia, Egitto, Sierra Leone e Costa d’Avorio.

Lampedusa è sotto assedio, i residenti sono scesi in piazza a manifestare la contrarietà a una ventilata tendopoli di accoglienza poche ore dopo l’ennesimo sbarco in cui ha perso la vita una neonata data alla luce a bordo dei barchini della speranza.

A Porto Empedocle, lunedì mattina centinaia di migranti sono scappati dalla tensostruttura affollata e hanno invaso le strade del paese a caccia di cibo e acqua (un agente ferito).

Sull’isola allo stremo la visita di domenica del presidente del consiglio Meloni e della Presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen è servita a placare un po’ gli animi e a segnare un primo, piccolo successo italiano nel mettere plasticamente in mostra la necessità che sul tema degli sbarchi la gestione debba per forza di cose essere comunitaria.

A parole si sono detti tutti pronti a dare una mano all’Italia, alla prova dei fatti sono arrivati subito i primi distinguo: il presidente francese Macron ha inviato una nota in cui conveniva sulla necessità di rafforzare la cooperazione a livello europeo annunciando l’incontro tra i ministri degli Interni dei due paesi, Gérald Darmanin e Matteo Piantedosi; il giorno dopo, lo stesso Darmanin ha fatto sapere che la Francia non accoglierà alcun migrante di quelli sbarcati nelle scorse ore a Lampedusa.

Poche ore prima di partire proprio per Roma, il ministro transalpino, rispondendo a una domanda in merito, ha detto che la Francia vuole aiutare l’Italia a controllare le sue frontiere per impedire alla gente di venire.

«Basta chiacchiere da Parigi e dalla Ue» ha tuonato la Lega.

E l’Ue resta la vera protagonista delle diverse sensibilità che in queste ore, al di là delle dichiarazioni, hanno fatto fibrillare la maggioranza di governo; mentre la premier a Lampedusa incontrava von der Leyen e cercava di ricucire la collaborazione con l’Eliseo nella gestione degli sbarchi, nel tradizionale raduno leghista di Pontida il vicepremier Matteo Salvini lasciava per la prima volta il palcoscenico a Marine Le Pen, la leader del Rassemblement national, nemica giurata di Macron e del Ppe europeo, su cui il ministro degli Esteri Tajani (segretario di FI, parte a sua volta della famiglia popolare) ha sempre messo e metterà il veto in vista di una nuova alleanza per le Europee 2024.

«Lavoriamo per lo stesso obiettivo (la difesa dei confini, ndr) e siamo in totale sintonia con il governo» ha rassicurato Salvini, ma dal prato bergamasco è tornata a riecheggiare la parola secessione.

Autonomia differenziata e premierato vanno assieme, ha rimarcato il leader del Carroccio, per far durare questo esecutivo non cinque ma almeno dieci anni. Ennesima cesura tra le parole pubbliche e le manovre politiche: è noto da tempo che sia FdI sia FI guardino con molto sospetto alla riforma firmata dal ministro Calderoli nel timore di perdere fondamentali voti del centro-sud alle prossime elezioni per Bruxelles.

Intanto è arrivata la prima tegola sul “piano Africa” immaginato da Meloni per gestire, tra le altre cose, le partenze dai paesi del Maghreb: l’accordo con la Tunisia del Presidente Saied sta già fallendo sulla parte economica, ovvero i fondi (due tranche iniziali da 150 e 200 milioni) che l’Ue ha promesso al capo tunisino. Le risorse sono in parte ancora congelate a Bruxelles e in parte rifiutate dallo stesso Paese africano.

La collaborazione nella lotta all’immigrazione clandestina è già sospesa prima ancora di cominciare.