La Settimana Politica

Un anno di Meloni: la rabbia e l’orgoglio

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di Pasquale Napolitano

C’è una macchina da rodare. Una strategia da ri-pianificare alla curva del primo anno di vita del “suo” Governo. Giorgia Meloni è chiamata a dare la sterzata decisiva. Il “caso Giambruno” ha il suo peso. Come potrebbe essere diversamente? Però i sondaggi sono dalla parte di Meloni: FdI continua a godere di ottima salute.

La separazione in eurovisione dal compagno ha contraccolpi politici e umani devastanti. Ma non è questa l’unica ragione del malessere del premier. Le sue inquietudini hanno profonde radici politiche.

Dopo 12 mesi, i fronti aperti (e caldi) sono tanti.

Le incursioni del vicepremier Matteo Salvini fanno vibrare continuamente la macchina dell’esecutivo che Giorgia vorrebbe invece guidare con stabilità. Salvini è un osso duro e non molla la presa facilmente. Il capo del Carroccio ha preteso che i fondi per il Ponte sullo stretto di Messina fossero inseriti in Manovra. Ha litigato con Fitto sui fondi per la coesione. A nulla sono valse le resistenze dei colonnelli di Fratelli d’Italia. Il segretario leghista va avanti come un treno.

E anche sul conflitto in Medio Oriente tende a marcare una differenza rispetto a Meloni e suoi. Da Palazzo Chigi il presidente del Consiglio suggerisce prudenza e cautela. L’Italia è esposta al rischio attentati. Ma Salvini alza il tiro e convoca una manifestazione pro Israele il 4 novembre, giornata delle forze armate.

La mossa di Salvini crea un caso politico con il ministro della Difesa Guido Crosetto che invece ha deciso di ridurre al minimo le celebrazioni. L’altra incursione salviniana è in Europa: la Lega chiama a raccolta a inizio dicembre le forze dell’estrema destra in Italia, da Le Pen all’Afd tedesca. Un messaggio chiaro in vista del voto per le europee.

Se Atene piange, Sparta non ride. Non va meglio con l’altro pezzo della coalizione: Forza Italia. Qui lo scontro è sul dossier giustizia. Dalla separazione delle carriere alla prescrizione: Antonio Tajani qualcosa deve portare a casa prima di giugno. Ma Meloni frena. Sul suo groppone pesano le due guerre: Ucraina e Palestina.

Due macigni che condizionano la politica economica del governo sempre più stretta nella tenaglia di Bruxelles. L’Europa. Ecco l’altro cruccio del presidente. Sperava in una cavalcata vincente dei Conservatori per spostare l’asse a destra del governo di Bruxelles. Ed invece le sconfitte in Spagna di Vox e del Pis in Polonia, i due alleati di ferro di Meloni, impongono di rivedere i piani.

Sul capitolo interno, il premier vuol rimettere mano alla squadra di governo. Il bilancio sul lavoro di alcuni ministri è decisamente negativo. Pichetto Fratin (Ambiente), Schillaci (Sanità), Urso (Attività produttive) sono gli indiziati. Ma un rimpasto così ampio sarebbe un’innegabile sconfitta politica.

Ci pensa e l’inquietudine aumenta. Però qualcosa deve cambiare. I conti.

Anche la seconda Manovra è andata. Una legge di bilancio da 24 miliardi di euro: poca roba per i progetti meloniani. Però in compenso il capitolo Fisco dà soddisfazioni. La riforma fiscale inizia a muovere i primi passi. Il taglio del cuneo è confermato per un altro anno.

Si dirà: si naviga a vista? Vero, però alcuni risultati Meloni li porta a casa. Arrivano i primi decreti attuativi per rendere il fisco più snello. Un inizio di rivoluzione meloniana che si intravede.