Nel Mondo delle Pmi

Il Brunello di Barbi nella élite mondiale del vino

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di Stefano Tesi

Non è un mistero che nell’ultimo quarto di secolo l’attribuzione di stelle, bicchieri e alti punteggi in guide e riviste specializzate abbia costituito, in generale per il mondo del vino italiano e ovviamente per i produttori premiati, un formidabile volano di notorietà e di successo commerciale. Al punto che, per le cantine di oggi, l’ottenimento di questi riconoscimenti, destinato poi a essere rilanciato mediaticamente e messo a frutto tramite il turbo dei social e degli influencer, è il più ambito tra tutti gli obbiettivi strategici di marketing.

Ha fatto rumore, quindi, la notizia che la classifica Top 100 2022 pubblicata nel novembre scorso dal mensile americano Wine Spectator, considerata la rivista più influente del settore a livello planetario, abbia designato il Brunello 2016 Riserva della Fattoria dei Barbi il secondo miglior vino del mondo (giusto per la cronaca: il vincitore è il Cabernet Sauvignon Oakville Double Diamond 2019 di Schrader Cellars, in Napa Valley).

Solo quattro volte, del resto, l’Italia è arrivata sul gradino più alto del podio, con la Toscana sempre protagonista (Sassicaia nel 2018, il Brunello Casanova di Neri nel 2006, Ornellaia nel 2001 e Solaia nel 2000), e il risultato eclatante di questo 2022 è bastato per riaccendere i riflettori non solo sulla storica cantina di proprietà di Stefano Cinelli Colombini, una delle più antiche di Montalcino, ma sull’intera denominazione.

Una denominazione a sua volta in piena espansione, alle prese da un lato con una fase di forte crescita di mercato e dall’altro con un momento di ricomposizione fondiaria che sembra preludere a ulteriori assestamenti nella distribuzione dei vigneti e a nuovi investimenti da parte di grandi gruppi finanziari.

Come nel 2016 è stato, ad esempio, il clamoroso passaggio del pacchetto di maggioranza della Biondi-Santi al gruppo francese dello champagne Epi per circa 300 milioni di euro, e come lo è la recentissima permuta che, all’interno della ridistribuzione patrimoniale della famiglia Illy, ha visto Francesco, già proprietario a Montalcino della cantina Le Ripi, acquisire la tenuta del fratello Riccardo, lo storico marchio Mastrojanni. Andando così a costituire un nuovo, importante polo enoico nella Docg ristretta al solo comune montalcinese, dove le quotazioni delle preziose vigne sfiorano ormai il milione di euro a ettaro.

La Fattoria dei Barbi, con i suoi 385 ettari di terreno, dei quali 86 vitati (27 a Brunello), divisi tra le tenute di Montalcino e di Scansano, nella Maremma grossetana, produce 600mila bottiglie all’anno per un fatturato di circa sette milioni di euro ed è una delle realtà più prestigiose della denominazione, tra le artefici del mito di questo vino nel mondo: fondata nel 1790, è stata la  prima in Italia ad aprire le porte ai visitatori nel 1949 e una delle prime a varare come strumento di marketing il trinomio vino-cultura-eccellenze enogastronomiche.

Nella Top 100 2022 la Fattoria dei Barbi si è comunque trovata in buona compagnia, sempre toscana: il Tignanello 2019 di Antinori si è piazzato, infatti, in quinta posizione e il Saffredi 2019 di Fattoria le Pupille in ottava.

Cinelli Colombini: premiata la nostra coerenza

Stefano Cinelli Colombini non nasconde la sua soddisfazione per la “medaglia d’argento” di Wine Spectator, anche se getta signorilmente acqua sul fuoco: «è un premio di sicuro non preannunciato, ma che ci riempie di orgoglio e che non ci giunge del tutto inaspettato: mai avuto dubbi sull’ottima qualità del nostro vino», ironizza.

«Credo sia il frutto della nostra coerenza nel perseguire uno stile di eccellenza, ma senza eccessi, e della volontà di offrire un prodotto affidabile, riconoscibile, coerente alle aspettative verso uno dei vini più importanti dell’enologia mondiale come il Brunello. Non a caso il mercato italiano, ove siamo presenti da oltre 150 anni, rimane il nostro principale, a testimonianza di una fidelizzazione molto radicata della clientela. La cosa più paradossale e divertente – aggiunge – è che di questo riconoscimento potremo beneficiare solo indirettamente: in cantina, infatti, le seimila bottiglie prodotte della nostra Riserva 2016 sono esaurite da tempo e quindi non possiamo minimamente dar corso alla montagna di richieste che abbiamo ricevuto in queste settimane. Ma siamo contenti lo stesso, anche perché lo consideriamo un premio per tutti i viticoltori di Montalcino».

Il Brunello di Montalcino Riserva ha del resto una storia particolare: «Risale al 1970, quando Annamaria Lepore, la più giovane dei tre eredi del Caffè Ferrara, il più antico negozio italiano in America al 195 di Grand Street di Little Italy, iniziò a importare negli Stati Uniti vini italiani di qualità. Interessata alla nostra Riserva, insistette affinché fosse cambiato il colore di sfondo dell’etichetta, passando dal blu al rosso acceso, convinta che non solo ciò avrebbe migliorato le vendite, ma sarebbe piaciuto anche ai consumatori meno fedeli, come i cinesi. Aveva ragione. Infatti, da allora, la veste grafica del vino è rimasta la stessa ed è stata adottata per tutti gli altri mercati».