Nel Mondo delle Pmi

Rapporto Regionale PMI 2023: aziende in trincea a rischio stop

Scritto il

di Paolo Cova

L’organismo (il sistema Italia) è in crisi, anche se la sua spina dorsale (le PMI) per ora regge. Ma ulteriori colpi esterni (crisi economiche e internazionali) possono debilitarla del tutto, soprattutto se i costi delle medicine (i tassi) continueranno a salire e l’ambiente in cui si vive (le normative) rimane irto di ritardi e ostacoli, se non ostativo. In sostanza, l’organismo sta perdendo fiducia. E il rischio è che se anche la cura (il rialzo dei tassi) dovesse avere successo, il paziente alla fine muoia.

Una metafora per tradurre in estrema sintesi il quadro delineato dal Rapporto Regionale PMI 2023, realizzato da Confindustria e Cerved in collaborazione con UniCredit, presentato a fine giugno. Un numero, il 4, più volte è stato evocato durante la presentazione. Le PMI reggono, nonostante quattro choc in quattro anni (pandemia, carenza di materie prime, rincari energetici, guerra in Ucraina). Dopo quasi otto anni di tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali inferiori o pari a 0,25 punti, in un anno (da luglio 2022) si sono raggiunti oggi i 4 punti. E i rialzi decisi dalla Bce non sembrerebbero ancora finiti. Infine, la crisi che ha caratterizzato – ed è seguita – ai periodi di lockdown ha fatto fare alle imprese un passo indietro di 4 anni nel processo di rafforzamento dei bilanci osservato nei 10 anni pre-pandemia. E questo ha riguardato in particolare le PMI.

I dati parlano chiaro. Il panorama delle PMI italiane (157mila aziende che occupano 4,5 milioni di addetti su un totale di 15 milioni di dipendenti privati, e che generano il 41% del PIL) presenta una stima di sostanziale tenuta di fatturato (+2,4%), valore aggiunto (+1,4%) e margine operativo lordo (+2,9%), con ciò recuperando i livelli del 2019. Ma i primi effetti dell’inflazione e dell’aumento del costo del debito fanno contrarre la redditività netta e gli utili. Nel 2022 si stima infatti un calo del ROE (rendimento sul capitale proprio) dello 0,6% (dal 12% all’11,4%) mentre la quota di PMI in perdita passa dal 12,2% del 2021 al 27,9% del 2022. Non meglio vanno i tempi di pagamento, un indice molto sentito dalle aziende, specie quelle piccole e piccolissime, perché avere un cliente che non paga può portare a non pagare i fornitori, con un effetto a catena che può rivelarsi devastante su bilanci non da giganti: i mancati pagamenti sono attesi in rialzo del 4,3% a livello nazionale (sono il 29,4% delle fatture nel dicembre 2022 contro il 25,1% del dicembre 2021).

Aumenta il numero di PMI che chiude il bilancio in perdita e anche la natalità delle aziende è in calo, spiega il Rapporto. Ma il peggioramento dello scenario non si è ancora tradotto in chiusure di imprese in massa. C’è una sorta di congelamento: imprese molto fragili, che continuano a operare sul mercato ma devono stare molto attente ai contagi finanziari. Emerge una nuova categoria, le PMI zombie: imprese molto indebitate che non riescono a far fronte agli interessi sul debito coi loro utili. Distorcono e disincentivano l’accesso al credito da parte delle imprese sane. Le aziende zombie sarebbero 23mila, esposte per 130 miliardi, soprattutto nei settori dei servizi e delle costruzioni. Una luce, però, c’è: il 70% delle aziende zombie che hanno fatto ricorso al Fondo di Garanzia si sono risanate.

Che fare dunque? «C’è un legame – ha osservato Vito Grassi, presidente del Consiglio delle rappresentanze regionali e vicepresidente di Confindustria – tra decisioni governative e decisioni delle PMI, che in genere, per loro struttura, reagiscono alle politiche economiche in modo molto più immediato e intenso, sapendo adattarsi. Ci sono risorse ingenti a disposizione (PNRR) ma dopo un anno non si vedono ancora grandi passi nella messa a terra dei progetti. Ci sono poi le risorse delle Politiche di coesione, ma serve uno sforzo di riforme strutturali e di aumentate capacità amministrative. L’incertezza è letale per la crescita». Altrimenti, è stata la conclusione, anche la locomotiva delle PMI rischia di fermarsi. E ha lanciato un appello: «Le Zone economiche speciali e le Zone logistiche speciali sono tra gli strumenti più innovativi lanciati in questi anni. Peccato che stiamo aspettando da mesi i decreti attuativi. Non si può più aspettare».

Indicazioni pratiche sono venute da Guido Guidesi, assessore allo Sviluppo economico della Lombardia: «Cosa possiamo fare, come Regione, per le PMI? Innanzitutto far sistema con le associazioni di categoria, e poi cercare di anticipare i tempi restando flessibili. In questi ultimi due anni abbiamo registrato una sorta di miracolo lombardo, che ha stupito gli altri ‘motori d’Europa’. Questo grazie a due princìpi. Innanzitutto il sostegno pubblico verso il settore privato va indirizzato alle aziende, perché sono loro che generano lavoro. E poi gli strumenti che mettiamo in campo devono fare da moltiplicatore, soprattutto per patrimonializzare le PMI.

Conta lavorare per filiere ed ecosistemi, col capofiliera che decide la direzione da prendere e una supply chain che condivide la strategia coinvolgendo istituti di credito, università, centri di ricerca. Così si può far fronte alla concorrenza estera. Le PMI sono fondamentali per le filiere e per vincere la competizione internazionale. I dati della nostra ripresa economica e produttiva sono impressionanti, oggi rallentati da una politica monetaria della Bce che rende impossibile l’accessibilità al credito rendendo per cui impossibili gli investimenti. Abbiamo aziende che pagavano l’energia dieci volte in più rispetto alla concorrenza estera, che continuava a produrre mentre i nostri non potevano nemmeno accendere gli impianti. Servono liquidità e crediti garantiti dall’Europa e una maggiore autonomia fiscale in modo che le nostre filiere possano combattere ad armi pari con le altre regioni europee».