Scenari

La cavalcata della Wagner e le crepe nel Cremlino

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di Attilio Geroni

Non potrà esserci mai chiarezza sulle dinamiche di potere in Russia. Esulano dalla comune logica occidentale e appartengono a un eccezionalismo fissato a più riprese nella Storia. Il mondo è disorientato di fronte agli avvenimenti degli ultimi giorni e sembra di ritrovarsi in un momento paradossale simile alle avvisaglie del 1989: allora lo stupore per ciò che stava accadendo era quotidiano e da un giorno all’altro era impossibile immaginare l’inimmaginabile.

Lo stupore per la marcia dei corazzati verso Mosca dopo la presa di Rostov da parte dei miliziani di Wagner guidati da Evghenij Prigozhin non è stato inferiore a quello provato per l’epilogo, con lo stop improvviso a 200 chilometri dalla capitale e un indecifrabile compromesso tra il ribelle e il Cremlino apparentemente negoziato dal presidente bielorusso Aleksander Lukashenko.

Nonostante siano passati alcuni giorni e nonostante Vladimir Putin abbia di nuovo parlato alla nazione con un discorso breve, e duro, sulle responsabilità dei rivoltosi senza però aggiungere nulla di sostanziale a una retorica ripetitiva, gli interrogativi su quello che è successo in Russia e soprattutto su quello che potrebbe succedere restano in buona parte senza risposta.

L’Occidente vede con preoccupazione una Russia ancora più instabile di quanto non l’abbia resa Putin con l’invasione dell’Ucraina e le cancellerie del G7 sono in contatto costante per seguire l’evoluzione o l’involuzione degli eventi. Un’eventuale resa dei conti tra gruppi di potere che il presidente russo era finora riuscito a tenere sotto stretto controllo potrebbe avere conseguenze incalcolabili per la stessa Unione europea e gli Alleati.

Il dipartimento di Stato Usa, secondo quanto rivela Axios, avrebbe diffuso un cablo nelle ore immediatamente successive alla ribellione di Wagner invitando dirigenti e funzionari a non commentare in alcun modo gli avvenimenti di Mosca. L’obiettivo è quello di non dare alcun pretesto al Cremlino, con dichiarazione fuori luogo, per poter evocare eventuali coinvolgimenti dei servizi occidentali.

La preoccupazione si estende ai partner europei e in proposito la notizia più importante e concreta delle ultime ore è la decisione da parte della Germania di inviare al più presto un battaglione di 4mila soldati in Lituania per rafforzare il fianco Est della Nato.

Nella confusione generale si fanno inoltre strada scenari estremi e poco plausibili. Come quello di una messa in scena concordata tra Prigozhin e lo stesso Putin per poter dislocare in Bielorussia migliaia di uomini della Wagner, eventualmente pronti ad entrare da lì in Ucraina. Ipotesi che, anche al netto delle bizzarrie russe, non sta in piedi: Mosca non appare al momento in grado di aprire un altro fronte oltre a quello del Donbass, dove già fatica, e comunque si troverebbe di fronte un esercito ucraino decisamente più armato e preparato di quanto non fosse all’indomani del 24 febbraio 2022.

In più, il rapporto tra Prigozhin e Putin si è irrimediabilmente rotto: non solo perché il capo di Wagner ha osato mettere in discussione il potere del capo del Cremlino criticando i suoi uomini a capo della Difesa, ma perché Prigozhin ha detto alcune scomode verità sulle ragioni che hanno portato all’invasione dell’Ucraina.

Secondo il comandante dei mercenari, il cui destino appare ancora incerto, la Nato e l’Ucraina non minacciavano la sicurezza della Russia, in Donbass non c’erano state particolari provocazioni nei confronti della maggioranza russofona. L’invasione sarebbe stata voluta dal criticatissimo ministro della Difesa Serghej Shoigu per nutrire la sua ambizione personale e per la volontà da parte di alcuni oligarchi di mettere le mani su asset economici e industriali dell’Ucraina.

La marcia di una milizia privata verso la capitale e dopo aver preso il controllo di una città di un milioni di abitanti, Rostov, ha comunque rotto il tabù dell’inviolabilità del potere così come è stato concepito e consolidato da Putin. La forza non è più un monopolio del Cremlino. Sono crepe evidenti nei confronti delle quali ancora non sappiamo come reagirà il presidente. Nel discorso di lunedì notte ha ringraziato la società russa per essere stata dalla sua parte contrapponendola ai traditori che saranno comunque puniti perché è stato versato sangue di fratelli russi (un riferimento ai piloti dell’aviazione uccisi da Wagner).

La grande prudenza dell’Occidente, America compresa, è legata ai rischi che una transizione, se mai dovesse essercene una in tempi relativamente brevi, porterebbe inevitabilmente con sé. L’azzardo di Wagner è soltanto un antipasto di quanto potrebbe accadere perché a fronteggiarsi si troverebbero diversi gruppi di potere, dai servizi di sicurezza all’apparato militare agli oligarchi alla cerchia ristretta del Cremlino, alle milizie mercenarie. Ognuna desiderosa di reclamare, oltre al potere, una congrua fetta di ricchezza del Paese.

A dire il vero è stato lo stesso Putin, con l’invasione dell’Ucraina, a rinunciare alla stabilità artificiosa che aveva costruito grazie a una repressione e a una limitazione delle libertà personali sempre più severe. Ne è conseguita una forte instabilità in Europa, che ha dovuto rinunciare quasi dall’oggi al domani al suo più importante fornitore di energia. Il presidente della Russia è via via diventato egli stesso agente di un caos che potrebbe prima o poi travolgerlo.