Sostenibilità

Finanza green alla sfida della sostenibilità

Scritto il

di Gabriele Politi 

Dottor Biggeri, lei è il cofondatore di Banca Etica, alla quale si è affiancata Etica Sgr, società di gestione del risparmio di cui è presidente. Il tema della sostenibilità oggi è in grande spolvero: cosa significa essere sostenibili” nel mondo bancario e finanziario?

Ugo Biggeri
Ugo Biggeri

Per essere sostenibili oggi è necessario dare due definizioni. Innanzitutto essere conformi alle norme: esiste una definizione abbastanza puntuale, anche se migliorabile, che è la Sfdr, la normativa europea sulla finanza sostenibile.

Ma non bastano dei prodotti allineati in tal senso: è necessario che un’impresa bancaria o una società del risparmio gestito sposi totalmente il tema della sostenibilità.

Deve avere comportamenti coerenti in tutti gli ambiti, dai fornitori che si scelgono ai prodotti che si vendono, fino agli obiettivi da raggiungere: non solo di sostenibilità economica, ma anche sociale e ambientale. E questa è un’operazione ancora molto innovativa e complessa da attuare.

Può darci alcuni numeri per inquadrare il segmento di mercato di cui stiamo parlando?

Il mercato si sta riorganizzando in funzione delle definizioni Ue, per cui negli anni scorsi c’era stata un’esplosione di prodotti che si definivano etici. Oggi il mercato dei fondi Sfdr è il 15-16% del totale. Va sottolineato che il mercato totale del risparmio gestito, dopo tanti anni, registra masse in diminuzione: 2.275 miliardi a giugno, il 9% in meno su marzo.

Nello stesso periodo i fondi sostenibili hanno tenuto. Di questo mercato, che si compone di 416 miliardi, la parte più piccola riguarda i fondi corrispondenti a quelli inquadrati come “articolo 9”, i cosiddetti fondi dark-green che sono una frazione, il 4% del totale di tutti i fondi.

Etica Sgr è tra i primi 20 asset manager per masse in gestione e il primo operatore per i fondi dark green. O meglio, siamo tornati primi così come lo eravamo otto anni fa, quando i prodotti di finanza responsabile non interessavano tanto.

Finanza etica e responsabile, sostenibilità ambientale, diritti umani, giustizia sociale. Come conciliate tra loro questi aspetti?

Il giusto modo per conciliare questi aspetti sta nel non limitarsi a guardare ad un unico indicatore, ma avere un’attenzione anche agli altri. Ad esempio, uno dei temi che mettiamo nella “G” di governance dell’acronimo Esg è quello fiscale, ossia le tasse.

Sappiamo bene che si possono avere politiche di ottimizzazione fiscale molto spinte come l’uso di paradisi fiscali, che permettono alle grandi imprese di non contribuire alla tassazione.

Un tema rilevante che stiamo cercando di inserire nella valutazione Esg: del tema governance fa parte non solo avere una buona composizione del consiglio d’amministrazione, ma anche la conoscenza dei doveri verso la collettività, tra cui quelli fiscali.

I profitti da attività finanziarie etiche sono solo migliori” o sono anche maggiori rispetto a quelli della finanza tradizionale? Se sì, perché?

Premesso che non si possono fare promesse sulle performance future, guardando al passato si può affermare che i fondi etici non sono migliori solo per i maggiori rendimenti ma anche perché li hanno ottenuti con minore volatilità e si sono pertanto dimostrati più stabili rispetto al mercato.

In generale, quando ci sono delle crisi, i fondi etici hanno perdite minori, è un dato verificato. Il fattore rendimento economico non penalizza i fondi etici, soprattutto sul medio lungo periodo.

Cosa pensa del fenomeno green washing? Poi accadono tragedie come quelle di Ischia e si ripiomba nella narrazione emergenziale del dissesto idrogeologico e del cambiamento climatico, su cui si parla tanto ma si fa poco…

Abbiamo due forme di green washing. Uno è quello classico, delle grandi dichiarazioni: si prende una cosa positiva che si è fatta e la si esalta nei report di sostenibilità di fine anno. Tipiche le molteplici dichiarazioni sul raggiungimento del “net zero” in termini di impatto climatico nei prossimi 30-40 anni. Se l’impegno assunto è arrivare al net zero nel 2050, ma fino al 2040 non si fa nulla e si pensa di recuperare negli ultimi 10 anni, anche questo è green washing.

Poi c’è una forma più sottile. Uno degli aspetti positivi della normativa è che oggi ci sono numerosi ottimi fondi di finanza sostenibile di società di gestione mainstream: ma se si guarda la loro pubblicità, sembra che propongano solo quelli, mentre invece spesso rappresentano percentuali ben al di sotto il 10% delle loro masse in gestione.

La guerra in Ucraina ha portato nel centro dellEuropa il contrasto alle dipendenze energetiche e la necessità di ridurre i combustibili fossili. C’è chi propone di riconsiderare lenergia nucleare. Ipotesi sostenibile?

Noi, da sempre escludiamo il nucleare. Sostanzialmente, il problema delle scorie radioattive lo rende insostenibile dal punto di vista ambientale. Bisogna dire che anche da un punto di vista economico ci sono tanti dubbi: se nel mondo da tanti anni è diminuita enormemente l’apertura di nuove centrali, un motivo c’è. Le energie rinnovabili stanno diventando molto competitive dal punto di vista del costo di produzione.

Esg: sia nel pubblico sia nel privato lItalia a suo giudizio a che punto è?

L’Italia ha un problema. La recente normativa che riguarda il “non-financial reporting” è stata estesa a 50mila imprese in Europa, obbligate a dare informazioni non finanziarie, quindi di sostenibilità, rispetto al loro operato. Questo aiuterà lo sviluppo della finanza sostenibile perché sarà più facile valutare le aziende. Ma di queste 50mila, vuoi perché il nostro tessuto produttivo è fatto soprattutto da PMI, sono poche le imprese italiane.

Nel medio-lungo periodo quelle che seguiranno tale practice saranno premiate, mentre le PMI rischiano di essere classificate nel mucchio di quelle non sostenibili o di cui non si conosce la sostenibilità. Sarebbe quindi utile un attivismo in tal senso da parte delle associazioni di categorie delle imprese italiane. C’è tanto potenziale di sostenibilità nel mondo imprenditoriale italiano, ma lo stiamo vivendo più come un peso burocratico che come un’opportunità.