Sostenibilità

Il jeans di moda è circolare, green e salva-acqua

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di Dino Bondavalli

Tra le loro ultime invenzioni c’è il primo jeans al mondo 100% naturale e biodegradabile che, una volta conclusa la propria vita, si può trasformare in compost e diventare concime. Ma il rapporto tra Candiani Denim, azienda italiana che produce tessuti denim per tutti i più importanti marchi mondiali, e la sostenibilità ambientale affonda le proprie radici molto più indietro nel tempo.

La storia di questa realtà milanese fondata nel lontano 1938 da Luigi Candiani per produrre tessuti per abiti da lavoro è, infatti, caratterizzata da una decisione presa nei primi anni Settanta e all’epoca giudicata dai più semplicemente folle: mantenere la sede produttiva nel comune di Robecchetto con Induno, in provincia di Milano a un passo da quella di Novara, anche dopo l’istituzione (nel 1974) dell’area naturale protetta del Parco della Valle del Ticino. Una decisione che a mezzo secolo di distanza si è rivelata a dir poco geniale, ma che a quei tempi solo pochi avrebbero avuto l’ardire di prendere, considerando che l’industria tessile è storicamente una di quelle con maggiore impatto ambientale.

«Quando nacque il parco l’opzione che la famiglia si trovò davanti fu di spostarsi altrove o di adeguarsi a una serie di requisiti che erano indispensabili per potere operare nella riserva naturale: la scelta fu quella di restare qui per il legame con il territorio e con la comunità, e così ebbe inizio, mezzo secolo fa, quel processo di implementazione, miglioramento e crescita costante che ci ha portati dove siamo oggi», racconta Simon Giuliani, direttore marketing globale di Candiani Denim, oggi riferimento a livello globale per il mondo del denim e fornitore dei principali brand del lusso internazionale, delle grandi Maison italiane e francesi e di marchi iconici come Levi’s, Diesel, Jacob Cohen e Off-White.

La decisione di non trasferirsi altrove per sottrarsi ai vincoli e alle restrizioni imposti in nome della tutela ambientale ha, infatti, portato l’azienda ad anticipare di decenni la concorrenza su tutte le misure legate alla sostenibilità e attenzione all’ambiente. Di fatto tutti quegli aspetti che oggi sono diventati cruciali per il mondo tessile e della moda. Ne è scaturita un’avventura imprenditoriale di quelle che danno lustro al Made in Italy, caratterizzata da una visione che solo i veri fuoriclasse sono capaci di avere.

Oggi a guidare l’azienda è Alberto Candiani, rappresentante della quarta generazione e pronipote del fondatore. Il fatto di essere ancora una realtà famigliare, a dispetto dei 600 dipendenti e di un fatturato che lo scorso anno ha superato quota 100 milioni di euro, in crescita a doppia cifra rispetto al 2021 e anche al periodo pre-Covid, è forse l’ingrediente principale di un percorso che per molti versi ricorda quello dei nomi più ispirati dell’industria italiana, da Ferrero a Luxottica, solo per citarne un paio.

Il resto, lo fanno le scelte produttive e un’attività di ricerca e sviluppo che ha consentito, nel corso dei decenni, di introdurre una serie di innovazioni che hanno rivoluzionato il settore. Se negli anni Ottanta Gianluigi Candiani, padre dell’attuale presidente, aveva realizzato il primo denim stretch (tessuto elastico per jeans), imponendo un nuovo standard, in tempi più recenti l’attenzione si è concentrata su sostenibilità e prestazioni termiche.

«Il primo risultato si chiama Coreva», spiega Giuliani. «Si tratta del primo tessuto denim stretch prodotto con un filato vegetale ottenuto dalla gomma naturale in sostituzione dei classici filati sintetici lavorati con prodotti derivati dal petrolio. Visto che nessuno era in grado di farlo, ci abbiamo lavorato noi per 5 anni e alla fine lo abbiamo lanciato nel 2020 con Stella McCartney», conferma Giuliani.

È naturale e biodegradabile, e riesce ad avere addirittura un impatto positivo per l’ambiente, perché una volta conclusa la sua vita si può trasformare in compost e diventa un concime naturale.

Il secondo prodotto iper innovativo si chiama Graphito, ed è stato sviluppato in collaborazione con Directa Plus, azienda comasca leader nella ricerca e sviluppo di prodotti a base di grafene. «Da un lato l’utilizzo del grafene rende il nostro tessuto antimicrobico, per cui si può indossare più a lungo e lavare con minore frequenza e quindi risparmi acqua durante il suo ciclo di vita. Poi la rifinitura dopo il processo di tintura avviene con un nostro brevetto, utilizzando un biopolimero anziché materiali sintetici», spiega Giuliani.

Infine, visto che il grafene è un conduttore eccezionale, il nostro jeans è cross seasonal, cioè fresco in estate e caldo in inverno.

Meglio di così…

Pantaloni a km zero con la catena di fornitura più corta del mondo

Per poter parlare di chilometro zero manca ancora qualche piccolo dettaglio. Ma il progetto Candiani Custom, che si è aggiudicato il premio ITMA Sustainable Innovation Award 2023 in occasione dell’ITMA (Textile & Garment Technology Exhibition), la più importante fiera mondiale del settore meccanotessile, che si svolge ogni 4 anni e che è andata in scena a Fieramilano Rho dall’8 al 14 giugno, ha comunque realizzato la filiera più corta al mondo per la realizzazione di jeans.

«L’idea che abbiamo sviluppato è quella di una micro factory di jeans nel cuore di Milano, in piazza Mentana», spiega Simon Giuliani, direttore marketing globale di Candiani Denim. «Di fatto abbiamo condensato un processo industriale all’interno di uno spazio boutique aperto al pubblico, utilizzando le più innovative tecnologie del settore tessile e manifatturiero».

All’interno della factory è possibile farsi fare jeans su misura tagliati, confezionati, trattati e lavati in loco da maestranze artigiane, con l’utilizzo delle tele denim più sostenibili di Candiani. La customizzazione, oltre alla verifica del modello ideale e al rilevamento delle misure, riguarda la scelta della tela, il suo lavaggio, l’eventuale trattamento laser, ma anche i bottoni e i rivetti, il colore delle cuciture, l’etichetta esterna ad eventuali ricami.

«Con questo modello produciamo solo quello che serve, senza sprechi e senza sovrapproduzione», sottolinea Giuliani. «Inoltre abbiamo la supply chain più corta al mondo, perché ogni parte del jeans è fatta entro 238 chilometri dal luogo in cui questo viene prodotto».