Economia della Conoscenza

Francesco Morace: è il tempo della società gassosa

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di Alessandro Paciello

Francesco Morace è uno di quei sociologi che amo seguire perché mi aiuta a comprendere le tendenze di un mondo sempre più complesso in cui i punti di riferimento socio-politici a cui eravamo abituati sono via via venuti meno, lasciando a tutti noi intere voragini di dubbi sul presente e sul futuro. Ha insegnato in diverse Università ed è autore di libri e pubblicazioni. Presta la sua consulenza a varie istituzioni aziendali, pubbliche e private. Da comunicatore posso dire che ciò che non viene comunicato, in questa realtà multimediale nella quale trasciniamo la nostra poco consapevole esistenza, in fondo è come se non esistesse. Ecco perché trovo fondamentale il parere di chi studia in chiave sociologica il sistema sociale e mi aiuta a interpretarne i “segnali deboli”.

Professore, è giusto definire liquida” una società come quella in cui stiamo vivendo in questo periodo storico?

Abbiamo superato lo stato della “modernità liquida”, come la definiva Bauman, e siamo passati direttamente a quello “gassoso”. Nel mio libro “Futuro più Umano” (2018, ndr) spiego come, dagli anni ’80 in poi, si sia progressivamente avviata una trasformazione del nostro modo di vivere, passando dai bisogni ai desideri e da questi ai capricci, dove il “capriccio” significa la diffusa percezione di bastare a sé stessi, non avendo più né riferimenti comunitari, né ideali e neppure “meta-fisici”.

Il rischio è perciò quello di vivere in un presente continuo dove la “self image”, anche per e con l’uso intenso dei social network, conduce l’individuo verso una “religione del sé” in cui ciascuno si sente il Dio da adorare.

La “liquidità” che per Bauman era un allentamento dei legami con le comunità di riferimento evapora in uno stato “gassoso” nel quale ciascuno galleggia come una mongolfiera, sempre pronta a sgonfiarsi e a precipitare.

In questa complessità “gassosa” quanto ha inciso la sempre più pervadente digitalizzazione e la nostra sempre maggiore dipendenza da essa?

Ha inciso molto! Ma i presupposti c’erano già. Profondi e legati a un’idea fuorviante di libertà: una libertà “da qualcosa”, invece che una libertà “per qualcosa”. Fin dall’epoca dell’”edonismo reaganiano” degli anni ’80, se si vuole per una legittima reazione agli anni di piombo, si è giunti a un investimento dell’individuo su di sé che è arrivato a spezzare quel patto di comunità che porta l’umano a essere “sociale” condividendo i vincoli della civile convivenza.

Questa errata idea di libertà senza limiti ha preparato il terreno alla pervasività digitale. La digitalizzazione non è il problema, ma la condizione in cui il problema si aggrava. I social network hanno poi  portato all’implementazione di comunità che definirei “intenzionali”, molto diverse da quelle spontanee di sangue e di territorio alle quali eravamo antropologicamente abituati.

Ma il fatto che la digitalizzazione e lIA potrebbero rappresentare tanto una soluzione di molti problemi della quotidianità, quanto una terribile e potente leva di potere di una élite dispotica che vuole sottometterla, non mette lintera Umanità su un pericoloso crinale che potrebbe vederla scivolare da una parte o dallaltra?

Il rischio c’è, purtroppo! Il “crinale” è l’immagine più appropriata perché fa capire che c’è un limite che non andrebbe oltrepassato. Da sociologo segnalo che negli ultimi anni – anche in corrispondenza della diffusione pandemica e dei lockdown –  abbiamo osservato inevitabili segnali di manipolazione mediatica e politica da parte di questa élite – ma sono anche emersi segnali inaspettati di creatività visionaria, soprattutto da parte delle ultime generazioni, che cercano di riprogettare la vita in una diversa prospettiva.

Qual è il loro antagonista, diciamo il potere da abbattere”?

Più che difendersi e opporsi al sistema, in un’ottica tipica degli anni ’60 e ’70 dello scorso secolo, i giovani cercano e propongono una nuova visione dell’esistenza, implementando la schiera di quegli attori sociali che noi chiamiamo “consum-autori”, impegnati a essere protagonisti attivi e creativi anche delle azioni quotidiane e di consumo.

Essendo “nativi digitali”, i giovani a volte sembrano inebetiti dalla tecnologia della connessione ma, in realtà, buona parte di loro ha usato in modo smart questi strumenti, diventando protagonista in occasione del lockdown.

I giovani della fine dello scorso secolo, quelli della nostra generazione, tendevano a opporsi al sistema di potere”, magari con diversi approcci ideologici, da destra o da sinistra ma, in fondo, determinati a lottare contro”, per così dire. I giovani di oggi…?

Sognano semplicemente un mondo “più vivibile” e riconoscono giustamente le responsabilità delle generazioni precedenti. C’è sicuramente un tentativo di manipolarne le coscienze, ma non direi che si stia dimostrando efficace, al di là delle apparenze. Gli stessi strumenti digitali che condizionano, anche in negativo, tutti noi, rappresentano la possibilità di sviluppare materiali, esperienze e intelligenze che sfuggono completamente alla visione tecnocratica e centralizzata del Sistema. Un Sistema dominato dalle “big tech”, convinte di continuare in un percorso che le porterà al dominio del mondo. Secondo me, invece, tutto ciò non avverrà e credo anzi che il peggio sia già alle nostre spalle.

E tutto ciò come potrebbe ripercuotersi in un mondo del lavoro, soprattutto a carattere intellettuale?

È una partita aperta ed è una partita a scacchi. Secondo me, ci sarà sempre più bisogno di capacità e talenti intellettuali. La storia dell’Umanità ci insegna che dopo una certa tendenza, che raggiunge un apice, si sviluppa poi una controtendenza. In questo caso, e nel periodo storico che stiamo vivendo, riemergerà presto l’eccellenza. Ciò significa che l’Intelligenza Artificiale non sarà determinante, se non sarà supportata e sostenuta dal talento umano.

E, di fronte al talento dell’Uomo, la IA si dimostra inadeguata. Un esempio concreto: il confronto intellettuale fra noi due, fatto in questo momento attraverso un “dialogo aperto”, non potrà mai vedere protagonista allo stesso livello una qualsiasi forma di intelligenza artificiale a cui mancheranno sempre le intenzioni, i valori, le emozioni, tutto ciò che davvero ci rende Umani condizionando, nel bene e nel male, la nostra conversazione.

E questa differenza rimarrà meravigliosamente tale, nei secoli dei secoli.

Quindi si raggiunge un apice e poi c’è una discesa, anche dal punto di vista della digitalizzazione della nostra vita. Giusto?

Giusto. E non sfugge a questa regola quanto stiamo vivendo che è già quasi all’apice. Prendiamo il tanto decantato Metaverso, una specie di riproposizione del già fallito Second Life. Sta seguendo il suo stesso destino. È il tentativo di un social network che tutti conosciamo di “salvare le penne” a un mondo già in profonda crisi: l’idea che si cerca di spacciare per innovazione, e cioè che tutto confluisca in un mondo parallelo, alternativo a quello che viviamo “in presenza”, è ingenua, quasi infantile. Lo dicono le nostre ricerche sui giovani, non lo dico io. E infatti noi parliamo di “Pluriverso”, come prossimo futuro.

Cioè?

Il “Pluriverso” è per noi l’alternativa al Metaverso controllato dalle “big tech” con i loro “Walled Gardens”, mondi chiusi le cui regole vengono decise da loro. Le Big Tech, infatti, portano avanti l’idea che il futuro sia un mondo che loro possono recintare, controllando le persone attraverso il possesso dei loro dati. Questo modello socio-politico e di business, che pure andrà avanti per anni, è in realtà un “morto che cammina”.

Si è infatti già capito che gradualmente si imporrà invece una decentralizzazione radicale (“Decentraland” ne è un primo esempio) che porterà tutti noi a usare queste dimensioni parallele quando decideremo di farlo, nelle occasioni che sceglieremo, senza rinchiuderci in un mondo “alternativo”, con consumi paralleli, con una moneta separata, come già cercò di fare senza successo Second Life.

Il Pluriverso è una condizione in cui noi viviamo la quotidianità senza esserne spossessati; frequentando il mondo digitale con una totale confidenza e continuità non immersiva in modo plurimo, in totale libertà. Vero che, come scrivevo in “Futuro più Umano”, l’iper-scelta può diventare un problema, ma i giovani stanno già sviluppando gli anticorpi a questo eccesso di offerta digitale.

Quindi, cosa pensa Professore del pericolo che alcuni paventano di una progressiva disumanizzazione” del vivere civile, proprio a causa di strumenti come il Metaverso?

Penso che il diavolo, spesso, lo si dipinga peggiore di quanto sia. Il tentativo tecnocratico e manipolatorio è in pista, ma in realtà sta fallendo e le ricerche qualitative, in tal senso, ce lo confermano. Siamo di fronte a un adattamento creativo e consapevole al mondo digitale che sta prendendo il posto, progressivamente, di una situazione imposta dalle “big tech”, manipolatoria e calata dall’alto. E così sia!