Inchieste

Mauri campione dell’export: fuori tutte le scarpe amate dalle star

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di Dino Bondavalli

Oltre 10mila paia di scarpe prodotte ogni anno, rigorosamente in Italia e in maniera artigianale con materiali di pregio quali lo struzzo, l’alligatore, il caimano, la lucertola, il pitone e lo squalo. Una clientela fatta di star mondiali, da Puff Daddy a 50 Cent, passando dal leggendario ex campione di basket Nba Shaquille O’Neal. E una vocazione pressoché totale ai mercati internazionali, tanto che tutta la produzione finisce all’estero e che l’unico negozio in Italia che tiene le loro scarpe, una boutique nel cuore di Roma, vende esclusivamente a clienti stranieri.

È la storia di Mauri, azienda famigliare artigiana con sede a Paina di Giussano, nel cuore della Brianza monzese, oggi guidata dall’amministratore Gianluigi Mauri. Fondata nel 1953 da suo padre e dagli zii, Mauri rappresenta uno di quei rari casi di impresa votata esclusivamente all’export. «Di fatto abbiamo un unico cliente italiano», conferma Mauri. «Per il resto, solo stranieri».

Una vocazione verso i mercati esteri nata quasi per caso, quando nel 1958 un importatore americano chiese all’azienda di iniziare a produrre scarpe e sandali con materiali di pregio e colorati, che rispondessero ai gusti di una nuova clientela afroamericana. Poi, dopo aver lavorato per più di un decennio pressoché esclusivamente per il mercato statunitense, «“negli anni Settanta cominciammo a cercare di aprirci ad altri mercati, trovando spazio in quelli arabi, dove c’è una vera passione per le scarpe in struzzo, e in quelli africani, dove amano i colori», ricorda Mauri.

Qui l’azienda si è progressivamente affermata come marchio del lusso. In negozio un paio di scarpe firmate Mauri ha un costo che, a seconda dei modelli e dei materiali utilizzati, varia da un minimo di 450 euro a un massimo di 3mila euro. Circa un terzo della produzione, peraltro, è fatta su misura. «Per tanti negozi, soprattutto negli Stati Uniti, dove abbiamo 140 rivenditori, avere un corner con le nostre scarpe rappresenta un forte segno distintivo», sottolinea l’amministratore.

La clientela? Perlopiù araba. Poi africana, di Paesi dove la religione prevalente è quella musulmana, e afroamericana. Oltre agli Stati Uniti, che assorbono circa il 50% della produzione, oggi l’azienda è presente, spesso con rivenditori esclusivi, negli Emirati Arabi e nei Paesi limitrofi, e in una serie di Paesi dell’Africa subsahariana: Congo, Camerun, Nigeria, Ghana e Gambia, oltre che in Sudafrica.

«Fondamentalmente lavoriamo nei Paesi in cui c’è il petrolio e in cui c’è un gusto di un certo tipo» spiega Mauri. La conseguenza è che l’andamento delle vendite e del fatturato, che lo scorso anno ha superato quota 1,5 milioni di euro, è strettamente collegato a quello delle quotazioni del petrolio.

Un caso forse più unico che raro. Tanto più se si pensa che si tratta di una piccola realtà brianzola famigliare, con una quindicina di dipendenti, che per la propria produzione si affida ad artigiani di fiducia distribuiti tra Lombardia, Marche e Campania.