Scenari

Tempesta perfetta sul mondo del lavoro

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di Antonio Dini

È una vera e propria corsa contro il tempo. Man mano che la popolazione mondiale invecchia e i «boomer» escono di scena, le nuove generazioni che si affacciano al mondo del lavoro sono in competizione con una serie di ostacoli e cambi di paradigma senza precedenti. Dall’intelligenza artificiale alle guerre, dall’inversione di tendenza della globalizzazione, con un massiccio reshoring delle imprese, a un patologico bisogno di manodopera. L’obiettivo della corsa contro il tempo? Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico occorre digitalizzare le competenze tecniche prima che scompaiano, oppure ci troveremo con interi settori privi di guida e di know-how. È l’unico modo, sostiene anche l’Organizzazione internazionale del lavoro, per traghettare il capitale di conoscenze che sta alla base della nostra società industriale verso il futuro.

Il primo nodo è quello del cambiamento demografico, che sta rapidamente trasformando la forza lavoro mondiale: una tempesta che in Italia, uno dei Paesi con il tasso di invecchiamento più elevato del pianeta, è un vero e proprio Tsunami. Da noi, secondo i dati Istat e uno studio Prometeia, c’è un buco di 100mila lavoratori all’anno da qui al 2030. Sono i baby boomers che vanno in pensione e non vengono sostituiti, nonostante l’immigrazione e i tentativi di riattivare l’area della disoccupazione. Il problema è che le aziende sono piene di lavoro, ma non trovano personale qualificato per svolgerlo: manca la manodopera.

Tuttavia, non è solo il settore privato in difficoltà forte. Secondo le stime dei sindacati del settore pubblico, ci aspetta un’ondata di pensionamenti anche tra i baby boomers del pubblico impiego. Altri 300 mila lavoratori che andranno in pensione nei prossimi anni. Alla fine del decennio, mancheranno all’appello, tra pubblico e privato, più di un milione di persone.

Le cose non vanno meglio nel resto del mondo. Secondo il rapporto “Future of Jobs” del 2023 redatto dal World Economic Forum, la situazione non è più rosea per le altre economie sviluppate. Nello studio si prevede un cambiamento strutturale del mercato del lavoro pari al 23% dei posti di lavoro nei prossimi cinque anni. È previsto un ricambio superiore alla media nei settori della catena di approvvigionamento, dei trasporti e dei media, dell’intrattenimento e dello sport, e un ricambio inferiore alla media nel settore manifatturiero e in quello del commercio al dettaglio e all’ingrosso di beni di consumo. Sui 673 milioni di posti di lavoro riportati nel dataset del rapporto, le aziende analizzate prevedono una crescita strutturale di 69 milioni di posti di lavoro e un calo di 83 milioni di posti di lavoro. Ciò corrisponde a una diminuzione netta di 14 milioni di posti di lavoro nel mondo, pari al 2% dell’occupazione attuale.

Non è finita. Perché non c’è solo il rapporto tra domanda e offerta di lavoro che si sta disallineando strutturalmente. Cambia anche l’assetto dell’economia globale per via degli impatti della tecnologia (l’intelligenza artificiale in testa), il cambiamento delle politiche industriali con il reshoring, e il fenomeno sempre più diffuso dell’invecchiamento delle aziende di più grandi dimensioni. Non è un problema del futuro, ma comincia oggi. Secondo una ricerca condotta dal McKinsey Global Institute, un lavoratore su 16 potrebbe essere costretto a cambiare lavoro entro il 2030. Si tratta di oltre 100 milioni di lavoratori, considerando solo le otto economie più grandi per dimensioni.

Qual è un modo per affrontare questo nodo di problemi? Un modo è cambiare la narrativa. «C’è un problema profondo – dice Alberto Mattiello, esperto di innovazione e business futurist che vive e lavora negli Stati Uniti – ed è legato alla narrativa del lavoro, anzi dei lavori. Una narrativa che deve cambiare. E la chiave per farlo è la tecnologia».

Gli esempi già ci sono. Uno studio voluto nel 2019 da Elon Musk ha mostrato che per Tesla il più grande collo di bottiglia a fronte di una domanda superiore alla produzione non era la mancanza di batterie o i ritardi in fabbrica, ma la mancanza di meccanici specializzati in veicoli elettrici. L’azienda da allora ha avviato corsi di formazione nelle scuole di tre paesi che hanno già iniettato sul mercato più di 100mila meccanici di officina competenti sulle nuove tecnologie.

Un altro esempio: il progetto Code-Org (e le altre iniziative simili) per insegnare ai ragazzi delle scuole a programmare. Viene finanziato dai big del settore tech per risolvere un problema su scala planetaria: oggi ci sono circa 28 milioni di programmatori in tutto il mondo ma ne servono più di 100 milioni da qui alla fine del decennio mentre si teme di non arrivare a 50.

Bisogna andare nelle scuole per cambiare la narrazione, mostrando che determinate professioni fino a ieri considerate di serie B (il meccanico, il ragioniere-programmatore) oggi sono meglio di una laurea in medicina o in legge.

«Quello che serve – dice Mattiello – è di rivedere le narrazioni delle professioni di cui abbiamo veramente bisogno. Perché i ragazzi non lo sanno, ma fare il contadino in una azienda agricola oggi vuol dire lavorare con la robotica, i sensori, sistemi di lettura dati, l’automazione della produzione. Non si passano le giornate a zappare, si fa un lavoro hi-tech. E sul mercato c’è un bisogno disperato di persone specializzate nell’agritech».

La mancanza di manodopera, assieme ai due problemi del riscaldamento globale e della trasformazione digitale dei lavori, sono il grimaldello che ha scardinato le certezze di un tempo. Dice Mattiello: «Qualunque sia il lavoro che una persona farà in futuro, non potrà essere slegato dalle macchine. Lavorare domani non significherà fare qualcosa, ma farlo fare a una macchina che noi controlliamo. Ci sarà una intermediazione completa, su tutto». Servono occhiali nuovi per guardare questa realtà: bisogna capire le tecnologie e pensare in modi nuovi.

Il rapporto tra lavoro e tecnologia però è ancora più complesso: impatta la produttività e i posti di lavoro, ma anche i modelli di business. I fenomeni di globalizzazione, accelerati dalla tecnologia, e le nuove regolamentazioni mondiali o regionali (come quelle europee) giocano un ruolo importantissimo. Senza contare i cigni neri, come la pandemia, le cui conseguenze ancora non sono chiare.

Per quest’anno, ad esempio, ci aspettavamo un tasso di automazione del lavoro molto più alto di quello che è stato effettivamente misurato: le stime del World Business Forum dicono che oggi il 34% di tutte le attività aziendali viene svolto da macchine, mentre il restante 66% è svolto da persone. Si tratta di un aumento minimo, di circa l’1%, rispetto al livello del 2020. Invece, ci aspettavamo che il livello oggi arrivasse al 47%. I dodici punti mancanti sono dovuti, oltre che al margine di errore di questo tipo di rilevazioni, anche dall’impatto della pandemia, imprevedibile e imprevista. Che però potrebbe essere rapidamente compensato dall’impatto dell’intelligenza artificiale. Un altro cigno nero digitale, piombato sulla scena a novembre del 2022, quando è stato svelato al mondo ChatGPT.

In pochi mesi una sola azienda, OpenAI, ha fatto partire una vera e propria corsa all’oro dell’AI che ha visto passare gli investimenti in progetti aziendali sull’AI nel mondo da 92 miliardi di dollari nel 2022 a circa 150 miliardi per quest’anno, con stime che raddoppieranno il valore ogni 18 mesi.

Per questo la transizione del mercato del lavoro mondiale deve essere guidata: il rischio sono danni forse irreparabili.

Dove non arriva l’AI: quali saranno i lavori più richiesti

Ci mancava l’intelligenza artificiale a confondere le acque: quali sono le carriere “a prova di futuro” adesso che l’AI sta portando l’automazione dalla fabbrica all’ufficio? I titoli di studio o i percorsi professionali sicuri di una volta non lo sono più. Però, secondo il Job Impact Index realizzato dal sito “There Is An AI For That”, che ha analizzato alcune migliaia di tipologie di profili lavorativi e calcolato il rischio introdotto da oltre quattrocento diversi algoritmi di intelligenza artificiale, ci sono professioni che nei prossimi anni saranno estremamente ricercate. Infermieri, pompieri, piloti di aereo, musicisti, responsabili security, ma anche gli psicologi, gli educatori e molte figure collegate alla gestione stipendi, finanze e personale delle aziende. Non sono le uniche certezze però: serviranno anche stilisti, designer nel settore della moda e consulenti in area industriale, come chimici e fisici, ma anche ingegneri e laureati in scienze naturali. Inoltre, molte figure legate alla gestione della parte legale di un’azienda avranno ancora spazio negli annunci di lavoro. Infine, anche se forse non possiamo definirla una carriera in senso proprio, servirà sempre la figura del religioso (a prescindere dal credo). Ci sono poi molte figure lavorative che continueranno ad essere necessarie perché quel che fanno non può essere automatizzato: da chi lavora nei servizi di ristorazione a chi lavora nel settore del turismo e viaggi, ma anche nel settore della salute e benessere, nel settore primario e nell’intrattenimento. Tutte aree nelle quali l’intelligenza artificiale può far ben poco. Almeno, per adesso