Sostenibilità

Bilancio di sostenibilità, serve un cambio di passo

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di Paolo Cova

Le piccole e medie imprese italiane faticano ancora a sposare le pratiche Esg (enviroment, social, governance) e ancor più a comunicarle ai propri stakeholders. Ma serve un cambio di passo perché i temi della sostenibilità saranno sempre più influenti nelle scelte dei clienti, dei consumatori e anche dei grandi investitori e dei gruppi bancari e finanziari. E l’Europa chiama.

Alessandro Cortesi
Alessandro Cortesi

«La direttiva europea 2464/2022 – spiega Alessandro Cortesi, docente della Liuc di Castellanza – introduce dall’esercizio finanziario 2025 l’obbligo del Bilancio di sostenibilità anche per tutte le imprese che rispondano ad almeno due di questi requisiti: ricavi superiori a 40 milioni di euro, attivo oltre 20 milioni, più di 250 dipendenti. Cioè, per l’Italia, almeno 3.900 imprese».

Obbligo anticipato al 2024 per le grandi imprese e i gruppi con più di 500 dipendenti e posticipato al 2026 per le piccole e medie imprese quotate (una cinquantina in Italia).

«Le PMI al di sotto di questi requisiti non hanno obblighi in vista, per ora. Ma come Liuc abbiamo fatto un sondaggio tra grandi investitori per verificare di quali elementi desidererebbero disporre per le proprie decisioni di investimento rispetto a quanto invece viene fornito dalle piccole e medie imprese».

Per la E (ambiente) l’informativa fornita dalle PMI viene ritenuta poco completa nel 65% dei casi riguardo la policy per contrastare il cambiamento climatico e/o progetti mirati di carbon neutrality, nel 62,5% per la gestione dei rifiuti, per il 52,5% dei casi per l’uso delle risorse energetiche e le emissioni di CO2.

Quanto alla governance, il 45% degli intervistati ritiene poco completa l’informativa sulla presenza di codici di condotta, etica e anticorruzione, il 55% le politiche di consultazione degli stakeholder su temi economici, ambientali, e sociali, il 65% le figure professionali per il presidio dei temi della sostenibilità.

Per la S (social) si hanno risposte soddisfacenti solo per la salute e la sicurezza dei dipendenti, probabilmente sulla spinta delle norme già vigenti. Per il resto (turn over, inclusione, diritti umani, protezione dei dati del cliente…) poco o nulla.

«Le PMI – rileva il professor Alessandro Creazza, sempre della Liuc – possono già intraprendere pratiche di sostenibilità, ma la loro dimensione le obbliga a ragionare e operare per filiera, coinvolgendo fornitori e clienti. Per ora le pratiche virtuose restano a livello di singola azienda. In un’altra nostra indagine metà delle aziende interpellate afferma di aver implementato pratiche di economia circolare individualmente. Le altre affermano di aver preso l’iniziativa ma di aver fatto leva in maniera considerevole sulle collaborazioni con altre aziende presenti nella rete di stakeholder».

I commercialisti sono in fibrillazione. Non solo perché la scadenza del 2025 è vicinissima, ma anche perché il Bilancio di sostenibilità andrà inserito in quello economico finanziario e per esso varranno le regole del falso in bilancio: «non si può improvvisare», sottolinea Luigi Castagna, presidente dell’Ordine dei commercialisti di Varese, «né riempire il Bilancio di sostenibilità di vane parole. Gli indici Esg andranno misurati e pesati e chi non dice la verità rischia. Le informazioni Esg saranno richieste anche ad aziende sempre più piccole e chi non risponderà in modo esaustivo rischia di rimanere tagliato fuori dal mercato».