Sostenibilità

In Toscana i mastri puristi della pelle vegetale

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di Pascale Mattei

Le concerie vegetali vogliono uscire dall’ombra. Questo mestiere, uno dei più antichi al mondo (c’è chi lo fa risalire alla preistoria, quando l’uomo comprese l’utilità delle pelli di animali per coprirsi e la necessità di trattarle per renderle imputrescibili), ha avuto un piccolo momento di gloria a metà dello scorso settembre a Firenze, durante la rassegna “Artigianato e Palazzo: quando tutelare la tradizione diventa una sfida al cambiamento”.

All’interno del Giardino Corsini, i visitatori hanno potuto accedere alla mostra principale Conciapelli, eredi di un’arte maggiore, organizzata dal Consorzio vera pelle italiana conciata al vegetale e promossa dall’associazione Giardino Corsini.

Era la prima volta che ci rivolgevamo direttamente al pubblico. Volevamo che si capisse quanto la tradizione artigianale possa essere moderna e adattarsi alle nuove esigenze della moda – spiega il suo presidente, Leonardo Volpi.

Se le tecniche di lavorazione sono antichissime, il Consorzio ha origini più recenti. È nato nel 1994, quando un gruppo di colleghi e amici concorrenti decise di unire le forze, spinti da una visione ancora abbastanza futuristica per l’epoca: la necessità di comunicare e promuovere questa industria eco-sostenibile, che esiste da migliaia di anni ma che oggi è considerata unica nel suo genere.

Ci sono appena una cinquantina di concerie vegetali al mondo (tra Francia, Germania, Italia, Messico, Argentina e Brasile). Ben venti di queste, tutte associate al consorzio, sono italiane, più precisamente toscane: sono situate in un’area molto circoscritta su entrambe le sponde dell’Arno tra Santa Croce sull’Arno e Ponte a Egola.

Insieme, queste aziende a conduzione familiare, alcune delle quali sono alla terza o quarta generazione, realizzano una produzione annua di circa 2,5 milioni di metri quadri di pelle, per un fatturato che, dopo il forte calo nel 2020 legato al Covid (-40%), è tornato quest’anno ai valori del 2019, circa 160 milioni di euro.

È stato creato un marchio, Pelle conciata al vegetale in Toscana, che garantisce la qualità delle pelli e del lavoro artigianale, in cui la mano dell’uomo è ancora fondamentale. Le aziende rispettano un Disciplinare tecnico di produzione etico e sostenibile che stabilisce i parametri chimici, fisici e territoriali della produzione. Ma poi ognuna di esse ha i suoi “piccoli segreti”, ricette ancestrali che si tramandano con il passaparola.

Tutte le pelli di questa produzione sono dotate di etichette di garanzia numerate, che consentono una totale tracciabilità della filiera. Le pelli, prevalentemente bovine, provenienti dalla macellazione di animali allevati in Europa e destinati all’industria alimentare, arrivano in Toscana dove vengono lavate e poi fatte stagionare per diversi giorni in gigantesche botti di legno di 4 metri per 4 metri, che funzionano un po’ come una lavatrice.

È qui che avviene l’alchimia, con questa miscela di acqua calda e tannini vegetali, estratti di corteccia e legno di mimosa, castagno e quebracho (un albero di origine sudamericana famoso per l’estrema durezza: il suo nome è una contrazione di quebra el hacha, che in spagnolo significa “spacca l’ascia”). Tutti gli scarti delle varie fasi di lavorazione vengono trattati in un’ottica circolare di riciclo e di riuso (cuoio torrefatto) soprattutto come concimi in agricoltura e floricoltura.

Il prodotto finale ha dei costi più elevati rispetto alla lavorazione tradizionale, ossia quella con prodotti chimici. Soprattutto per il costo dei tannini vegetali, composti contenuti in diverse piante. «Li andiamo a comprare un po’ dovunque – spiega Volpi – in Italia e Francia (per il castagno), in Sudafrica (la mimosa), in Argentina (quebracho). Poi ognuno ci aggiunge qualcosa di suo: una delle nostre aziende li compra solo in Bretagna. Tutti, comunque, provengono da foreste rigorosamente certificate».

La qualità delle pelli, più o meno spesse, più o meno morbide, resistenti e impermeabili, è frutto di questo lento processo di lavorazione, che può durare da alcuni giorni a diverse settimane. Le loro qualità intrinseche (termoregolazione, antibatteriche, antiossidante) ne consentono l’impiego in molteplici settori: dall’abbigliamento alla pelletteria, dalle calzature alla selleria.

E persino all’arredamento – continua il presidente del Consorzio – grazie a rivestimenti molto particolari di pareti e pure di pavimenti, molto apprezzati dagli inglesi per i loro classici club, ma anche nei Paesi nordici e in Medio Oriente.

Le pelli vengono consegnate prevalentemente nel loro stato naturale, senza coloranti. A meno di richieste specifiche di qualche cliente: allora si studiano insieme i colori, che comunque sono certificati e quindi non contengono sostanze chimiche e metalli pesanti. I grandi brand del lusso, con in testa i francesi Kering e Lvmh, big giapponesi e coreani ma anche i piccoli artigiani specializzati, sono i primi clienti di questo «prodotto vivo, una nicchia di lusso nel segmento del lusso» spiega ancora Volpi.

Louis Vuitton, per citare un esempio, per un pezzo preciso delle sue celebri borsette vuole esclusivamente cuoio vegetale Made in Toscana.

Prima sfida: attrarre i giovani in conceria

La formazione è al centro delle strategie di sviluppo e promozione del Consorzio vera pelle italiana conciata al vegetale. Secondo il suo presidente, non si tratta solo di formare i giovani che verranno a lavorare nelle loro aziende, ma anche di attirare gli studenti delle scuole internazionali di design e creazione che faranno la moda di domani.

Per quanto riguarda i primi, tutti gli operatori della regione sono in campo.

Dobbiamo convincere a tutti i costi i giovani a lavorare nelle concerie, e non è facile – dice Leonardo Volpi.

Sono state stipulate convenzioni con diversi istituti tecnici della Toscana che offrono corsi di formazione specifici per il conseguimento del diploma in chimica conciaria.

Chi si laurea viene assunto quasi subito.

Per i designer del futuro l’approccio è diverso. Ogni anno, una selezione di una ventina di studenti da tutto il mondo viene invitata per un’immersione di una settimana nelle concerie vegetali. Hanno poi sei mesi per creare un accessorio, un oggetto di design o altro con le pelli che gli vengono fornite: il migliore viene premiato con una borsa di studio da una giuria tecnica.

Spesso sono le stesse scuole di moda a chiedere al consorzio di organizzare corsi di formazione. Consorzio che promuove anche trasferte all’estero, come quella recente in Giappone, dove scuole e artigiani locali hanno potuto partecipare a un seminario ad hoc.

Qui nasce il 98% delle suole in cuoio

La Toscana è sicuramente la culla della lavorazione della pelle secondo i canoni della tradizione vegetale. Cuoio di Toscana, un consorzio specializzato nella produzione di suole realizzate con tecniche di concia al vegetale, ne è un altro esempio. In questo caso, il lavoro è ancora più lungo, poiché le pelli devono essere immerse in tannini vegetali per un minimo di due mesi, per ottenere un prodotto compatto e resistente che potrà diventare suola.

Fondato nel 1985, il consorzio raggruppa sette aziende nel triangolo d’oro della pelle italiana tra Santa Croce sull’Arno e Ponte a Egola. Alcuni di essi (Volpi Concerie, ad esempio) sono anche associati al Consorzio vera pelle italiana conciata al vegetale. Insieme, rappresentano il 98% del mercato italiano della produzione di suole in cuoio e oltre l’80% del mercato europeo.

Nel corso degli anni, Cuoio di Toscana è diventato un marchio riconosciuto a livello internazionale. Tutte le suole sono accompagnate di un certificato di autenticità, con il marchio impresso come un punzone, senza dimenticare un Tag Nfc inserito in modo invisibile che permette di tracciare il metodo di lavorazione e di conoscere l’azienda produttrice.

Il consorzio ha anche creato un premio, il Cdt Prize, che mira a sostenere giovani designer e progetti ecosostenibili. Sarà così a gennaio, in occasione della 103esima edizione di Pitti Uomo: Cuoio di Toscana collaborerà con la stilista londinese Martine Rose, ospite della manifestazione fiorentina dedicata alla moda maschile, per un modello di scarpa che sarà caratterizzato da una suola verde, simbolo dell’impegno per lo sviluppo sostenibile.