Scenari

Italiani popolo infelice, serve una comunicazione meno social

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di Alessandro Paciello

Enrico Finzi è uno dei grandi sociologi italiani che hanno contribuito a fare la storia del marketing e della comunicazione moderna in questo Paese. Per motivi professionali, lo conosco quindi da quasi 40 anni e ne sono un fedele fan. L’opportunità di fare con lui un punto della situazione sullo stato di salute socio-psicologica degli italiani, dopo questi ultimi anni così difficili, è ghiotta e promette stimolanti spunti, mai banali.

Dottor Finzi, in questi anni lei si è concentrato sul concetto di felicità” e ha realizzato numerosi e ripetuti studi che ne testimoniano la tendenza per quanto riguarda gli italiani. Quanto siamo felici, oggigiorno?

Non molto. Sono ventidue anni che faccio ricerche su questo argomento e, purtroppo, non sto notando una tendenza favorevole. L’ultima edizione di questa ricerca commissionata dalla Associazione “Sòno”, decisamente più corposa e dettagliata delle precedenti, lo racconta senza indugi.

Cos’è Sòno?

È un’Associazione APS – cioè appartenente al Terzo Settore e perciò non profit – che si occupa di ascoltare attentamente le persone, in maniera non valutativa ma empatica, partendo dal dramma della solitudine che, in questi ultimi anni in cui le crisi emergenziali sanitarie, belliche, economiche e sociali hanno preso il sopravvento, è diventato tema drammaticamente dominante.

Sòno e la Felicità degli italiani”?

Abbiamo usato questa indagine per fare una valutazione sullo stato d’animo che definiamo “Felicità” – termine che io non amo particolarmente – proprio per avere un “polso sociale” sul benessere o malessere esistenziale  del nostro Paese. E i risultati sono stati a loro modo sorprendenti: rileviamo un settimo della popolazione, cioè il 14% del totale, che è “disperato”, quindi ben più che infelice. Poi, abbiamo un 26% che è “poco felice”, il che ci fa arrivare a un 40% circa di italiani infelici, percentuale che dovrebbe preoccupare tutti noi e le istituzioni che ci governano. Per fortuna, c’è anche un 38% che si dice assai felice e un 21% che lo è abbastanza. Ma quello che preoccupa, ripeto, è il 40% abbondante di nostri connazionali che si barcamena tra l’infelicità e la disperazione. Non sono pochi, dal punto di vista sociale. Questo risultato ci mostra una volta di più la polarizzazione della nostra società: non solo ricchi sempre più ricchi contro poveri sempre più poveri; ma anche felici e molto felici che si contrappongono a disperati allo sbando sociale. Questa dicotomia è molto preoccupante e potrebbe deflagrare in uno scontro sociale.

Qual è lItalia più infelice?

È quella dei giovani, purtroppo, il che non ci fa ben sperare per il prossimo avvenire. Oltre il 40% dei 18-25enni italiani vive un disagio esistenziale senza precedenti. Si è ammalato il loro futuro, temono una vita precaria e comunque peggiore di quella che hanno avuto i loro genitori, fanno fatica ad avere orizzonti rosei, soprattutto perché non riescono a programmare una vita indipendente dalle famiglie di origine, proprio perché non sono in grado di sostenersi economicamente.

E gli anziani?

Qui sta la piacevole sorpresa. Il nostro campione si ferma ai settantacinquenni, cioè i nati fino al ‘47. In questa fascia di età non si è vissuta la disperazione della guerra, mentre si è attraversata l’epoca d’oro della crescita dei consumi, dei redditi, dell’occupazione e delle opportunità e si è stati anche influenzati dagli anni della contestazione, dal ’68 al ’77. Così, oggi la Terza Età risulta essere quella più felice, più soddisfatta della propria vita. Bisogna considerare che oggi si diventa davvero anziani intorno agli 80 anni, età in cui si comincia a perdere autonomia e, perciò, indipendenza. Anzi, i “nuovi anziani” – che preferisco definire “post adulti”, visto che non sono poi molto diversi per stile di vita dagli adulti – sono diventati la banca della famiglia e finanziano anche la vita dei giovani che invece fanno fatica a rendersi autonomi. Nel frattempo, hanno anche allungato la loro vita erotica, viaggiano, si divertono e socializzano più dei giovani digitalizzati.

Chi sono gli altri infelici, oltre ai giovani?

C’è un pubblico di individui che prima era riconducibile alla piccola borghesia e che oggi, anche se occupato, fa fatica a mantenere un dignitoso stile di vita, tanto più se separato o divorziato e quindi senza la copertura solidale fornita dalla famiglia. C’è poi un altro dato che trovo inquietante e si riferisce alle donne: nel passato sono sempre risultate più felici e, comunque, meno infelici degli uomini. Questo dato si è improvvisamente rovesciato. Ma va interpretato: le donne sono più scontente  perché sono più forti e quindi hanno più aspettative sociali, economiche, professionali; e, anche se hanno fatto dei passi avanti nel raggiungimento di certi risultati, questi sono ancora ben al di sotto di quanto vorrebbero e ciò genera frustrazione. Anche perché c’è una crescente insofferenza per il “casalingato” e per la gestione assistenziale ad anziani, malati e, in un certo senso, anche rispetto ai figli, perché le donne vorrebbero più partecipi i propri compagni o, comunque, gli uomini della propria famiglia.

Anche a causa di questa crescente e invasiva digitalizzazione del nostro quotidiano, a suo parere, non si è perso di vista lEssere Umano con i suoi sentimenti, i suoi valori, la sua esigenza di vita sociale ed etica…

Certo che sì! L’Essere Umano è sociale. Esiste solo come animale sociale, da branco, senza il quale fa fatica non solo a esprimersi compiutamente, ma anche a evolversi. Dalla ricerca emerge un dato che reputo molto interessante: la rimonta del Sud Italia rispetto al Centro-Nord (salvo il Triveneto) vista in chiave umanistica. Mi spiego meglio. Il Nord ha sempre avuto un predominio socio-economico, che però con l’eccessiva digitalizzazione si è disumanizzato. Al contrario, al Sud del nostro Paese prevale una visione più umanocentrica con i conseguenti vantaggi. I giovani meridionali della “net generation” hanno mantenuto anche una capacità relazionale “off line”, che invece stanno perdendo i giovani maggiormente urbanizzati nel Settentrione. Questo elevato livello di relazioni interpersonali, insieme al mantenimento di certe tradizioni, anche familiari, e a un approccio più sorridente alla vita, serve da ammortizzatore rispetto alla sbornia digitale che invece ha investito buona parte della gioventù del Nord.

Infatti, Dottor Finzi, come conciliare la pervasività dellIntelligenza Artificiale e della digitalizzazione salvando la parte umana della Società?

La via d’uscita è trovare la sintesi tra “Off Line” e “On Line”. Perseguire quindi una mediazione che prenda il meglio da entrambi gli approcci, ma avendo il chiaro obiettivo di salvaguardare l’Essere Umano, il suo cuore, la sua anima che non possono essere cancellati dalle macchine e dai computer in una logica transumana che ci farebbe perdere tutti e tutto. Se andiamo a guardare il passaggio che è stato fatto dalla fine del “lockdown” in avanti, vedremo che questo nostro Paese ha già preso una via della mediazione che ci ha traghettato fuori da una vita indirizzata solo all’iper performance, all’iper produttività, all’iper rendimento per avviarsi invece verso un’esistenza più a misura d’uomo, dove certe relazioni e certi atteggiamenti più umani ritrovano il loro spazio. Per esempio, c’è una riappropriazione del sesso e dell’erotismo, vissuto però in chiave più libertaria rispetto al claustrofobico rapporto di coppia di cui si lamentano soprattutto le donne. Non a caso, forse, il cluster più felice sembra essere quello delle coppie che hanno sì un rapporto sentimentale, ma che non convivono, mantenendo quindi i rispettivi spazi di vita quotidiana.

Quindi, dovendo fare una sintesi su cosa sia cambiato nel corso di questi anni in cui sono stati realizzati questi tre rapporti, cosa potrebbe dirci?

Il dato più evidente è che è cresciuta l’infelicità degli italiani negli ultimi tre anni di continue crisi emergenziali: queste hanno portato a un saldo negativo, tra persone più infelici e persone invece più felici, di circa tre milioni di maggiormente infelici. Soprattutto, c’è più gente disperata, sola, abbandonata, che spesso preferirebbe morire pur di non continuare così. Poi, donne e giovani decisamente sempre più infelici e frustrati.

Segnali che ci possono far guardare al futuro con un podi ottimismo?

Direi la riscoperta di una sfera spirituale, non tanto riferita alla religione e alla Chiesa quanto a valori umani, per esempio legati, soprattutto fra i giovani, alla tutela dell’ambiente o al volontariato indirizzato ai più deboli, malati o poveri. Se posso dare un consiglio, mi rivolgo proprio ai comunicatori, visto che presidiano una leva fondamentale per l’evoluzione della società: si deve trovare uno stile nuovo di comunicazione, meno “tik tok”, restaurando il concetto degli “umani”. E attenzione: parlo di “umani” e non di “viventi”. Ripeto: non esistiamo isolati, ma solo in relazione agli altri, e questo dovrebbe essere il nucleo di una comunicazione che voglia realmente dare il suo contributo a un mondo migliore popolato di esseri umani e non di semplici “viventi” gestiti da macchine e robot.